Il 23 ottobre 1863 è la data di fondazione ufficiale del Club Alpino Italiano (CAI), un’associazione nata a Torino per iniziativa di Quintino Sella: scienziato, statista e appassionato di alpinismo. L’idea di creare un sodalizio che riunisse gli appassionati di montagna ebbe origine già il 12 agosto 1863, durante una scalata al Monviso; ma fu il 23 ottobre, in una sala del Castello del Valentino, che venne approvato lo statuto e si riunì il primo consiglio di direzione.

La nascita del CAI, 23 ottobre 1863
Costituito il 23 ottobre 1863 a Torino – anche se si può affermare che la sua fondazione ideale è avvenuta il 12 agosto dello stesso anno, durante la celeberrima salita al Monviso ad opera di Quintino Sella, Giovanni Barracco, Paolo e Giacinto di Saint Robert – il Club Alpino Italiano è una libera associazione nazionale che ha per scopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale (l’articolo 1 del suo statuto).
Il suo fondatore fu Quintino Sella, la cui effigie è esposta all’ingresso della Sede centrale del Club Alpino italiano in via Petrella 19 a Milano. L’associazione è costituita da soci riuniti liberamente in sezioni, coordinate in raggruppamenti regionali. All’interno dell’ordinamento italiano la struttura centrale del Club Alpino Italiano si configura come un ente pubblico non economico, mentre tutte le sue strutture territoriali (sezioni, raggruppamenti regionali e provinciali) sono soggetti di diritto privato.
L’entusiasmo, la passione e l’impegno volontaristico che da sempre caratterizzano il CAI, e lo hanno reso un’eccellenza nel panorama italiano, hanno permesso di realizzare nel tempo un ampio ventaglio di opere a favore della montagna e dei suoi frequentatori, quali, per esempio, rifugi, bivacchi, sentieri e rimboschimenti.
Il 23 ottobre viene costituito a Torino il Club Alpino Italiano, quarto per ordine di nascita fra le società alpine europee. L’associazione, che vede la luce due anni dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia, doveva essere nazionale e tale è da principio come ai giorni nostri. Questa sua caratteristica le ha permesso di espandersi rigogliosamente nei decenni.
Il carattere nazionale del Cai, una delle qualità che ha permesso all’associazione di superare gli eventi storici che hanno cambiato il mondo nella seconda metà dell’800 e nel cosiddetto, è già presente nell’idea del fondatore, Quintino Sella, il quale voleva a sé, sul Monviso, Giovanni Barracco. È quindi in quel periodo storico e politico in rapida evoluzione, in cui le tensioni e le aspirazioni risorgimentali si concretano nell’unità della Nazione, che il CAI si forma e si diffonde secondo le forme tipiche dell’associazionismo borghese.
Costituito, da statuto, con lo scopo di far conoscere le montagne, più specialmente i monti italiani e di agevolarvi le salite e le esplorazioni scientifiche, il CAI da subito porta avanti quella funzione catalizzatrice dello spirito unitario intorno a un ideale che tuttora costituisce uno dei valori essenziali della motivazione associativa.
Il carattere nazionale non tarda a manifestarsi e ne è esempio emblematico la costituzione, dopo quella della sede sociale di Torino e delle sezioni di Varallo e Agordo, della sezione di Firenze nel 1868 e di quella di Napoli nel 1871.
Sino alla Grande Guerra il Cai mantiene un ruolo unitario che svolge con tenacia e continuità, ampliando sempre più l’adesione presso la società civile, diffondendo la pratica dell’alpinismo e del turismo alpino presso la borghesia in continua espansione, sostenendo la ricerca scientifica, organizzando congressi nazionali e gite sociali, curando la pubblicazione di un bollettino annuale e di una rivista mensile e costruendo i rifugi alpini che sono passati dai 57 edificati prima del 1900 ai 750 attuali per un totale di 21.00 posti letto.
È del 1909 l’istituzione in seno al CAI del Club Alpino accademico Italiano, punta di diamante dell’élite alpinistica nazionale. Un ulteriore elemento che evidenzia, anche a livello culturale, il carattere nazionale dell’associazione è l’iniziativa editoriale della Guida dei monti d’Italia, la quale, iniziata nel 1908 con il volume sulle Alpi Marittime, conta oggi 63 volumi e costituisce la più completa descrizione geografica, geologica e alpinistica del territorio montano d’Italia.
Il CAI sceglie di non rimanere in disparte in occasione della tragica entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria. Nel 1915, infatti, il presidente del Cai, senatore Lorenzo Camerano, lancia agli alpinisti italiani il seguente proclama: “La Patria chiama tutti i suoi figli al fiero cimento. Accorriamo con cuore acceso di sacro amore per la grande Madre comune e con fede incrollabile nei suoi alti destini e nella sua vittoria, a dare a essa tutta l’opera nostra e il nostro sangue”.
Verso il Secondo Conflitto Mondiale e oltre
Nel maggio del 1938 per Decreto Regio, poi convertito in legge, l’esterofilo Club diventerà Centro: Centro Alpinistico Italiano. Solo nel ’45 il nome del CAI ritornerà quello storico: Club Alpino Italiano.
Sempre nel ’38, in seguito alla promulgazione delle famigerate leggi razziali, una circolare riservatissima impose che i dirigenti centrali e periferici del CAI debbano essere esclusivamente di razza ariana pura, portò alla apposita modifica dello statuto nel maggio del 1939 e al dimissionamento forzato di dirigenti e alpinisti anche di primissimo piano.
A livello di alpinismo individuale non mancarono le medaglie al valore atletico assegnate agli alpinisti per il tracciamento di vie nuove di Sesto grado, una competizione nazionalistica. Dal 10 giugno 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia accanto all’Asse, l’attività del CAI proseguì, seppur in forma ridotta, sia per la chiamata dei giovani alle armi che per le difficoltà di spostamento, e per le disposizioni governative che ne avevano rivoluzionato la struttura.
Nel 1943, con la caduta del fascismo, Manaresi fu dimesso da ogni incarico e alla guida del CAI fu nominato il milanese Guido Bertarelli che ritrasferì la sede centrale a Milano. Con l’Italia divisa in due in seguito alla costituzione della Repubblica di Salò, seguì una fase complicata con una direzione centrale a Milano e una reggenza delle sezioni centro-meridionali a Roma, affidata al Presidente della sezione capitolina Guido Brizio.
Il CAI dichiarava di essere integro nella propria struttura patrimoniale, spirituale e organizzativa, e di aver riacquistato la propria completa indipendenza. Dal 1944 si impegnò a operare su due fronti: quello della Resistenza e quello della ricostruzione.
Le distruzioni belliche non risparmiarono il patrimonio dei rifugi nelle Alpi e degli Appennini furono utilizzati come quartieri generali nella lotta per la resistenza e la liberazione. La partecipazione al movimento di liberazione fu larghissima in tutte le zone da parte di accademici, soci e custodi di rifugi, i quali si distinsero anche nell’opera di appoggio e assistenza ai profughi ebrei che, attraverso i passi alpini, cercavano salvezza in Svizzera.
L’opera prestata dal CAI per la pacificazione nazionale e per la ricostruzione sia morale che delle infrastrutture, viene sottolineata in una dichiarazione di comunità d’intenti del 6 agosto 1945; in cui si stabilisce che: “unità nazionale, apoliticità, concordia nella collaborazione”, sono indispensabili e “ogni attentato a questo principio va respinto”. Vivendo così una decisa fase di de-politicizzazione.
Con la ripresa della vita civile, ripresero anche le attività sociali pur tra enormi difficoltà per mancanza di fondi, di mezzi e di materiali; il fervore ricostruttivo delle sezioni, che pure avevano subito ingenti danni di guerra, portò, in collaborazione con le autorità civili e militari, alla riedificazione dei rifugi e in generale alla ripresa delle iniziative culturali, scientifiche e artistiche. Di quelle escursionistiche e alpinistiche, sia sulle montagne italiane che extralpine, si iniziava a potenziare la formazione tramite le scuole di alpinismo e agli attendamenti estivi per i giovani.
L’impegno nella ricostruzione trovò la sua massima espressione in un evento destinato a ricompattare l’identità nazionale, duramente minata all’interno dalle divisioni politiche e all’estero dalla caduta di credibilità conseguenti alle vicende belliche: nel 1954 una spedizione alpinistica organizzata dal CAI portò i colori della patria sulla seconda vetta del mondo, il K2, nel Pakistan. È un avvenimento di portata mondiale, che risollevava il morale nazionale, restituendo fiducia a un popolo militarmente sconfitto e moralmente ferito.
Pur operando già da tempo attraverso iniziative spontanee delle sezioni, nell’ambito della prevenzione e della sicurezza di quanti frequentano e vivono in montagna, nel 1954 venne costituito ufficialmente il Soccorso Alpino, che in seguito assume la denominazione di Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, con lo scopo di provvedere alla vigilanza e prevenzione degli infortuni nell’esercizio delle attività alpinistiche, escursionistiche e speleologiche, al soccorso degli infortunati o dei pericolanti, e al recupero dei caduti.