Visitare il Museo storico della Liberazione di Via Tasso a Roma il 25 aprile, è un modo per ricordare e rivivere il dolore di tutti coloro che in nome della libertà e della loro coraggiosa opposizione al regime nazifascista, hanno subìto in quel luogo atroci torture. Fu inaugurato il 4 giugno 1955 e fu istituito come ente autonomo con la legge 14 aprile 1957, n. 277. Inizialmente il Museo era sotto la tutela del Ministero della Pubblica Istruzione, poi passò al Ministero dei beni culturali.
Nei mesi dell’occupazione nazista a Roma dall’11 settembre 1943 al 4 giugno 1944 fu usato come carcere dal Comando della Polizia di sicurezza. Spesso le persone venivano condotte qui senza un motivo, torturate, interrogate e detenute. La destinazione successiva poteva essere il carcere di Regina Coeli, al Tribunale di guerra attraverso il quale si veniva condannati al carcere in Germania o alla fucilazione a Forte Bravetta, alla deportazione o alle Fosse Ardeatine.
Il Museo storico della liberazione si compone di 18 sale espositive e raccoglie cimeli, manufatti artigianali, fotografie, stampa clandestina formata da manifesti, volantini e varie edizioni delle memorie su Roma occupata. All’interno del Museo è possibile reperire del materiale audiovisivo e su prenotazione, nella sala della deportazione degli Ebrei, si può vedere il documentario Ebrei a Roma 1943-44, contenente varie interviste ai superstiti.
Questo museo ha da sempre ospitato un’intensa attività legata alle scuole e nel 1999 ha subìto un attentato esplosivo di natura antisemita.
Museo storico della Liberazione di via Tasso: l’edificio e le sale
Via Tasso si trova nel rione Esquilino di Roma, a pochi passi da San Giovanni e da Piazza Vittorio. In passato il palazzo era di proprietà di Francesco Ruspoli, appartenente a una nobile famiglia romana. Egli l’aveva fatto edificare verso la fine degli anni 30 e successivamente l’affittò all’Ambasciata tedesca. Lo stabile si compone di due ingressi, uno al civico 145 e l’altro al 155 con un giardino interno.
Questo terreno era in origine occupato da Villa Giustiniani, un edificio secentesco che si estendeva tra via Tasso, via Merulana, Viale Manzoni e Piazza San Giovanni in Laterano. L’area era destinata alle abitazioni dei civili e ai collegi religiosi. Attualmente è ancora presente l’Istituto religioso Santa Maria che si affaccia su Viale Manzoni e sul quale si immette via Tasso.
Qui vennero ospitati gli uffici della rappresentanza diplomatica e l’ufficio di collegamento tra la polizia politica italiana e quella tedesca, quest’ultima coordinata dal maggiore delle SS Herbert Kappler. Dopo l’11 settembre 1943 l’intero edificio di Via Tasso fu destinato alla SIPO, la polizia di sicurezza tedesca dalla quale dipendeva la Gestapo. Ancora una volta Kappler ne assunse il comando.
Egli decise che il civico 155 avrebbe dovuto ospitare la caserma e gli uffici delle SS, mentre il 145 fu trasformato in Hausgefängnis, letteralmente “casa-prigione”. Le due ali dell’edificio erano collegate attraverso dei corridoi che passavano dal primo al terzo piano.
Fu disumano, come disumana del resto è stata questa pagina della nostra storia, il modo con il quale degli spazi, che in origine erano delle semplici stanze, vennero adibite a celle. Vennero velocemente rimossi gli arredi, le finestre delle stanze vennero murate dall’interno, venne applicata una grata in ferro di circa 70×50 cm nel sopraluce delle porte. I bagni vennero lasciati alla propria funzione e anch’essi avevano un sopraluce con grata e la finestra murata.
Le celle destinate all’isolamento erano quelle in origine destinate a ripostiglio che erano già prive di finestre, mentre nelle altre celle venivano raggruppati più detenuti. Fu completamente disattivato l’impianto elettrico. L’unico spiraglio che penetrava era quello del sopraluce.
Durante l’occupazione nazista il primo piano era formato da vari uffici, mentre oggi è destinato all’accoglienza ed è composto da una sala conferenze e da una biblioteca.
Al secondo piano si entra in quello che è stato il carcere che da allora è rimasto immutato. E’ diviso in 6 celle. Nella prima hanno trovato posto molte delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Qui sono inoltre commemorate circa 335 vittime italiane uccise il 24 marzo del 1944 a causa della rappresaglia tedesca in seguito all’attentato di via Rasella.
La cella numero 2 è quella di isolamento. Questa parte è ancora costituita da pareti intonacate e i prigionieri avevano inciso delle scritte sui muri, spesso con le unghie o con i chiodi. Possiamo trovare infatti preghiere, citazioni letterarie, ma anche messaggi destinati a chi avrebbe continuato la lotta.
Nella cella numero 3 trovarono spazio detenuti destinati alla fucilazione, mentre nella cella numero 4 vengono ricordati coloro che furono sterminati al km 14 della via Cassia, tra cui l’onorevole Bruno Buozzi. Nella cella 5 fu detenuto il colonnello del Genio Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo del Fronte Militare Clandestino e caduto alle Fosse Ardeatine.
Nel secondo piano è custodito un archivio e ci sono ancora le celle dalla 11 alla 14. La 12 è quella di isolamento e come quella che si trova al primo piano conserva i messaggi dei detenuti, le altre contengono diversi materiali d’archivio: nella 11 ci sono manifesti dell’epoca che imponevano limitazioni alimentari, limitazioni di libertà personali, ammonimenti, ordini e inviti alla delazione. Nella 13 una raccolta di materiale clandestino: giornali, chiodi a tre punte che i partigiani usavano contro le colonne di autocarri tedeschi e infine una pagnotta di pane sul quale un detenuto prima dell’esecuzione scrisse: “coraggio mamma”.
Quest’ultimo è un reperto molto toccante che racconta la forza della gente semplice che prende coscienza e che combatte contro il nemico nazi-fascista. Una delicata inquadratura che ci proietta in un racconto in flashback.
La sala 1 all’interno 9 del terzo piano ospita tutta la documentazione sull’antisemitismo in Italia e a Roma, sulle leggi razziali e sulla deportazione degli ebrei romani. Il 15 ottobre 1943 c’era stato il tragico episodio del rastrellamento del ghetto romano e a distanza di poco tempo Kappler aveva ricevuto presso la Gestapo una grande quantità d’oro da parte della comunità ebraica di Roma che chiedeva ai tedeschi di non effettuare rastrellamenti. Questa sala fu istituita dal 2001, subito dopo l’istituzione del Giorno della Memoria con la legge 20 luglio 2000 n. 211.
Museo storico della Liberazione di via Tasso: le condizioni dei detenuti
Il carcere di via Tasso, ha quindi rappresentato in tutti i sensi una delle pagine più vergognose della storia. Erano addirittura migliori le condizioni dei detenuti di Regina Coeli che si trovavano nei bracci 2 e 3, anch’essi gestiti dai tedeschi.
Coloro che venivano catturati dai tedeschi venivano portati a via Tasso, registrati e privati dei loro effetti personali. Gli veniva fornita una coperta militare, una gavetta metallica per il pasto e un cucchiaio di legno. La sveglia suonava alle 7 e i detenuti dovevano immediatamente alzarsi, piegare la coperta e attendere l’ispezione. Ogni gruppo di prigionieri che occupavano una cella veniva condotto obbligatoriamente al bagno e avevano pochissimi minuti per i bisogni corporali e le abluzioni.
Quelli che erano ritenuti prigionieri meno pericolosi, erano adibiti ai servizi di pulizia, ma non potevano conversare tra loro. Erano vietate forme di svago e visite dei parenti. Veniva servito il pasto una sola volta al giorno e le porzioni erano molto razionate. Se qualche detenuto non era presente perchè sottoposto a interrogatorio, rimaneva a digiuno.
Tra le 17 e le 20 i prigionieri venivano condotti di nuovo al bagno, dove dovevano anche sciacquare la gavetta e riempirla d’acqua che doveva bastare fino al mattino successivo.
Quando Roma venne liberata il 4 giugno 1944, lo stabile fu lasciato dai dai tedeschi in fuga che tentarono di trasportare i prigionieri a Verona. L’edificio venne così occupato da famiglie di sfollati.
Nel 1950 si cominciarono a porre le basi per la creazione del Museo storico della Liberazione, in quanto i Ruspoli ripresero la proprietà dello stabile e la principessa Josepha firmò la donazione a favore dello Stato di quattro degli appartamenti dello stabile. Tra il 1953 e il 1954, le ultime famiglie di sfollati, dopo aver ottenuto degli alloggi, se ne andarono e venne costituito un comitato per la realizzazione del Museo che nel 1955 verrà inaugurato dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Uno dei primi Direttori fu Arrigo Paladini, un partigiano che fu detenuto proprio nel carcere di Via Tasso.
Caro Icrewer, il Museo storico della Liberazione fa parte di tutti quei luoghi della memoria che dovresti visitare in un pellegrinaggio laico, alla ricerca del vero valore della libertà.
“La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare” (Pietro Calamandrei)