Donne e teatro: ne parliamo con le giovani attrici Virginia Risso, Sara Morassut, Jessica Di Bernardi e Lorenza Sacchetto della compagnia Teatro al femminile
Il mondo della cultura e il teatro erano originariamente preclusi al mondo femminile. In Italia la donna fa il suo ingresso sia sulla scena che come autrice con la Commedia dell’arte nel 1500, poi in seguito le attrici cominciarono a trasformarsi in autrici e in capocomiche, quindi ad abbracciare l’arte a 360 gradi: la scena, la penna e l’aspetto imprenditoriale. Pertanto la storia del teatro al femminile appare incompleta e condizionata da stereotipi e dal punto di vista maschile. Dare spazio alla creatività femminile si rivela un’operazione utile per analizzare, approfondire, riscrivere e aggiungere un nuovo punto di vista. Ne abbiamo parlato con la giovane regista, attrice, autrice Virginia Risso diplomata all’Accademia di Arti drammatiche, che con la sua compagnia Teatro al femminile da’ voce alla creatività delle sue componenti. Le ragazze sono reduci dal successo di Storie straordinarie di donne ordinarie, libero adattamento da Le Beatrici di Stefano Benni e dalle mattinè teatrali con i licei Le voci del silenzio.
Come nascete come attrici, autrici e registe e come nascete come compagnia?
Virginia Risso: Io ho iniziato il mio percorso teatrale da bambina ho frequentato diversi laboratori teatrali a scuola e fuori dall’ambito scolastico. Ho avuto la fortuna di aver visto sempre spettacoli teatrali già da piccola. Questa formazione si è andata ampliando nel corso degli anni con l‘Accademia di Arti drammatiche, con i workshop, con il lavoro sul campo con diverse compagnie teatrali e in particolar modo con Teatro al femminile, realtà teatrale nata nel 2017 a Torino che poi si è espansa in particolar modo a Roma e in altre parti d’Italia e che lavora principalmente per divulgare l’Arte “dipinta di rosa” per valorizzare appieno la figura della donna e rappresentarla in tutte le sue sfaccettature, senza cadere in quegli stereotipi ancora oggi inculcati dalla nostra società. Spesso vediamo il personaggio femminile sempre con le stesse caratteristiche. L’obiettivo principale è stato quello di andare oltre, abbattere le barriere e dare dignità ad ogni personaggio. Il che non vuol dire portare in scena spettacoli con sole donne, ma dare dignità ad ogni personaggio.
Lorenza Sacchetto: Il mio percorso come attrice è simile a quello di Virginia, la scuola ha avuto un grande ruolo nel condurmi in questo mondo. Il mio Preside del Liceo in questo senso è stato fondamentale perchè è una persona illuminata che ci portava tantissimo a teatro, ci faceva conoscere gli attori, li invitava a scuola per parlare con noi. Tutto ciò ha contribuito tantissimo per la mia formazione. Poi quando mi sono trasferita a Roma mi sono iscritta all’Università, Lettere con indirizzo arti e scienze dello spettacolo, quindi ho avuto modo di capire “il dietro le quinte”, non solo come si stava sul palco, ma la storia del teatro, la regia ed inquadrare il fenomeno teatrale come arte nella storia. Durante l’Accademia ho approfondito a livello pratico quanto avevo studiato all’Università, poi ho iniziato a lavorare, fare tanta gavetta e ho incontrato le ragazze di Teatro al femminile con le quali avevo in comune il fatto di frequentare l’Accademia sebbene in anni diversi.
Jessica Di Bernardi: Ho iniziato a scuola come Virginia e Lorenza, ma sono anche stata stimolata dalla famiglia, soprattutto mio padre che mi ha fatto appassionare al mondo della scrittura e in particolar modo di quella teatrale, ho frequentato corsi di danza e vari laboratori. Dalla Sicilia mi sono trasferita a Roma per frequentare l’Accademia. Ho conosciuto Virginia e abbiamo cominciato a lavorare insieme in vari spettacoli, poi abbiamo intrapreso insieme questo percorso di Teatro al Femminile, di cui sono molto fiera perchè la tematica mi sta molto a cuore. Ho frequentato molti workshop. Il mondo del teatro mi ha poi avvicinato alla psicologia, più che altro per approfondire il mondo interiore che aiuta ad avvicinarci al personaggio per coglierne le varie sfaccettature.
Sara Morassut: Anche io ho iniziato grazie alla scuola, sono stata fortunata perchè specialmente alle scuole medie avevo una preside che era innamorata del teatro e io partecipavo sempre. Il momento decisivo è stato al Liceo, frequentavo il laboratorio teatrale al doposcuola. Avevo una professoressa di Italiano che ci portava a teatro, a fine anno realizzavamo sempre uno spettacolo inedito scritto da noi studenti con gli insegnanti e una regista, un laboratorio molto partecipativo. E’ stato in quel periodo che sono stata contattata da Artemista e ho lavorato con Sabina Barzilai e Luigi Onorati. Fondamentale è stata Sabina Barzilai che mi ha formato attraverso laboratori, ma soprattutto ho fatto pratica sul campo grazie a lei, sono andata sul palcoscenico a diciassette anni. Poi sono andata a Roma all’Accademia dove successivamente ho conosciuto Jessica, Virginia e Lorenza che mi hanno coinvolto in Teatro al Femminile.
Che relazione c’è tra Le Beatrici di Stefano Benni dal quale avete tratto il vostro spettacolo e la donna del terzo Millennio?
Virginia: Le caratteristiche femminili esasperate da Benni sono riconducibili alle donne di qualsiasi epoca e di qualsiasi età. La vecchiaia, l’infanzia, la fragilità, la violenza, la discriminazione sono sempre temi attuali e universali.
Come avete lavorato sui vostri monologhi, cosa vi ha colpito maggiormente del vostro personaggio. Avete lavorato sulle vostre corde o esplorato un altro universo?
Jessica: Cerco di capire l’essenza del testo trovando un punto di incontro tra me, la mia personalità e quello che il testo vuole comunicare. Nel caso della Presidentessa che è una donna diversa da me, una donna in carriera e subdola, ho cominciato a studiare il suo modo di parlare e il suo modo di muoversi per entrare in contatto con lei. L’altro monologo riguarda la vecchiaia e la solitudine quindi la voce e il corpo diventavano un mezzo per raccontare questa tematica, qualcosa di istantaneo che raccontava una trasformazione. Una tematica che toccava molto, ma dalla quale bisognava distaccarsi, uno studio sul corpo e sulla voce che toccava anche l’interiorità.
Lorenza: Io ho interpretato due monologhi opposti, uno di apertura e uno di chiusura. Beatrice è una ragazza giovane e piena di vita, naturalmente non rispecchia fedelmente la Beatrice dantesca della quale sappiamo molto poco. E’ stato un lavoro sul recupero di quelle che sono le sensazioni, la freschezza, la spontaneità di un’adolescente. C’era anche la volontà di portare un messaggio contro l’oppressione. In maniera ironica Beatrice comunica tra le righe quanto la donna sia stata oggetto di scambio. Per quanto riguarda invece il monologo della Licantropa ho cercato di lavorare su corde opposte, su una condizione di sensualità nel senso del recuperare una dimensione dell’animalesco, non mediata da una razionalità, ma più vicina all’essere primordiale. L’essere ammaliante che deriva non da una condizione intellettuale, ma dall’essere più vicino a una sostanza naturale. In sostanza la Licantropa racconta la storia di un’emarginazione, rappresenta anche la fierezza della diversità.
Sara: Il primo monologo appartiene alla sfera del comico, è quello della mocciosa o della “bimbaminkia” come la chiamiamo noi, il suo scopo è quello di mostrare tutti quegli adolescenti che non hanno valori solidi. L’effetto è comico per via della parlata, un accento della provincia, ma il contenuto è drammatico in quanto la ragazza racconta al telefono ad una sua amica la storia di una ragazza che ha ucciso la madre che non le ha dato 50 euro per andare dal parrucchiere. Lo scopo è di mostrare al pubblico che purtroppo esistono queste figure di adolescenti senza valori, che non capiscono l’importanza dell’amicizia e della famiglia. Poichè ho dovuto costruire un personaggio completamente diverso da me, ho giocato con lo stereotipo e mi sono ispirata alla ragazzina di Centocelle, per esaltare l’effetto comico. Il monologo dell’attesa è molto più riflessivo, la situazione dell’attesa estenuante è stata vissuta da tutti almeno una volta. In questo caso è molto più difficile per l’attore o l’attrice mantenere il controllo poichè ognuno combatte con i propri demoni.
Virginia: I monologhi vogliono essere una denuncia caratterizzati da questo sarcasmo pungente. Suor Filomena (una suora “ingrifatissima”) che è il mio personaggio denuncia l’assurdità delle costrizioni contro-natura che la religione impone alle suore, le quali sono prima di tutto persone. Nonostante ciò alla base c’era il divertimento. Il mio secondo monologo è quello della vecchiaccia che arriva come uno schiaffo, è molto più diretto senza filtri. Qui c’è stato un lavoro vocale per invecchiare la voce, mentre il lavoro sul corpo era basato sull’immobilità, al fine di valorizzare la parola. Da un punto di vista registico io ho fornito loro la mia idea, ma loro sono state sommerse da questo flusso creativo. Ovvero “Questo è lo scheletro, ma da qua creiamo insieme.”
Il filo rosso che lega questo lavoro con gli altri. Teatro al femminile ha particolari forme e contenuti? Qual è il valore aggiunto della donna nella cultura nel teatro e della società?
Virginia: Portare in scena testi per dare dignità ai personaggi teatrali. In passato gli uomini rappresentavano in maniera distorta la figura della donna, quindi in base a uno stereotipo e invece il nostro scopo è rappresentare il personaggio a 360 gradi.
Parliamo del femminicidio e dell’opera messa in scena da Virginia “Le Voci del Silenzio”
Sara: Il tema è quello della banalizzazione del femminicidio fatto dai media. La tragedia viene data in pasto a un pubblico di massa. Le donne già morte raccontano la loro storia poichè sono ospiti di un programma televisivo. Spesso le donne tendono a giustificare o a coprire l’uomo a causa dei condizionamenti della cultura. La violenza e il possesso non sono atti d’amore; questo il messaggio che abbiamo voluto dare ai Licei. Dal momento in cui l’uomo comincerà a capire che la violenza sulle donne è anche un loro problema saremo già un passo avanti. La consapevolezza deve venire da entrambe le parti.
Virginia: Il femminicidio è il gesto finale che spesso nasconde una serie di violenze con le quali siamo a contatto quotidianamente senza rendercene conto. Basti pensare anche alla violenza insita in certi spot pubblicitari.
Le eroine del teatro greco. Mancava l’attrice, mancava l’autrice, ma c’erano personaggi forti, quali avete interpretato o vi piacerebbe interpretare
Virginia: Mi piacerebbe interpretarle tutte, ho avuto la fortuna di affrontare Medea, Clitennestra e Cassandra. La bellezza dei personaggi femminili delle tragedie greche è che venivano descritte a 360 gradi e ogni personaggio che si ha la possibilità di affrontare è un universo da scoprire.
Lorenza: Ci sarebbe veramente tantissimo da dire. Il teatro greco ci ha regalato questi archetipi che non sono stereotipi e contengono tantissimo. Pur essendo un mondo completamente maschile, contiene delle figure femminili che sono quasi sempre il motore dell’azione. Basti pensare a Medea, Antigone, Clitennestra. Io ho una particolare simpatia per Cassandra perchè mi ci ritrovo molto. Io avviso le persone di ciò che potrebbe succedere, non mi credono e poi accadono le catastrofi. Oppure sceglierei Antigone perchè rispetto a un sistema di valori istituzionalizzati lei cerca di portare umanità. Ha cercato di portare valori che non fossero solo di patriarcato.
Sara: Le figure femminili rappresentano di più il coraggio, non solo nel teatro, ma anche nella quotidianità. Antigone fa una scelta coraggiosa perchè va contro le leggi del suo Stato. Clitennestra uccide Agamennone poichè lui ha ucciso la figlia.
Jessica: Il mio sogno era l’Antigone eroina della libertà e della coscienza che dà voce a un mondo interiore e più profondo.
Progetti futuri?
Abbiamo diversi work in progress in cantiere, i mattinè con Le Voci del Silenzio stanno ottenendo successo con gli adolescenti.
Stiamo cercando di portare fuori Roma Storie straordinarie di donne ordinarie, probabilmente a Velletri.
Ringrazio Teatro al Femminile a nome della Redazione Icrewplay.com Arte e a nome mio in quanto donna, attrice e critico teatrale per averci dato questa bella e appassionata testimonianza. Grazie perché avete il coraggio di mantenere vivo il teatro. Spero di aver lanciato quella piccola scintilla per scrivere insieme a voi e a tutti i coraggiosi una nuova storia del teatro.