Entrare all’interno del Colosseo e salire le ripide scalinate che conducono alla Rampa dell’Imperatore e al Tempio di Romolo, dove è collocato il percorso espositivo della mostra Carthago e il mito dell’immortalità, produce nel fruitore, che guarda con autocritica il mondo latino, un’atmosfera di sanguigna violenza. Il Colosseo è da sempre il simbolo di Roma eppure un luogo ancor più violento degli attuali stadi. All’ingresso la grande statua del Moloch costruita nel 1914 per il film Cabiria di Pastrone, sceneggiato da Gabriele D’Annunzio, riaccende i ricordi delle proiezioni cinematografiche del passato e dell’epoca del cinema muto. Tuttavia lo spaventoso mostro che uccideva i fanciulli risulta essere un’invenzione del mondo latino. La divinità Moloch non è mai stata adorata ne’ da Fenici, ne’ da Cartaginesi.
All’interno della mostra allestita dal 27 settembre all’interno del Parco Archeologico del Colosseo lo spettatore può scoprire i segreti e ammirare circa 400 reperti provenienti sia dai Musei nazionali, sia dai Musei Internazionali. Gli enti coinvolti sono il Museo Nazionale di Cartagine, il Bardo di Tunisi, il Museo Nazionale di Beirut, i Musei Archeologici nazionali di Madrid e Cartagena. In Italia invece hanno partecipato la Soprintendenza dei beni culturali di Trapani, Musei del Satiro di Mazaro del Vallo, Paolo Orsi di Siracusa.
Il percorso espositivo segue un ordine storico e cronologico, dalle mitiche origini attribuite a Didone o Elissa nella lingua dei Fenici, sorella di Pigmalione, sovrano degli abitanti di Tiro. Ella fondò Cartagine in Libia, dove vi giunse dopo che Pigmalione assassinò suo marito. Dall’ Eneide noi la conosciamo per il suo amore infelice per Enea. In realtà non si suicidò per essere stata abbandonata dall’eroe virgiliano, ma per esprimere il rifiuto di andare in sposa con i re indigeni. Voleva governare autonomamente la sua terra. All’ingresso una miniatura che ritrae la mitica regina nell’atto di darsi la morte e un sarcofago con una sacerdotessa alata ci introducono in un’atmosfera di mistero e allo stesso tempo serena dove la quotidianità e la preoccupazione per il mondo ultraterreno convivono. Tale figura ha sempre richiamato Iside e per i semiologi si riferisce ai primi giorni della creazione, nonchè un ritorno all’ordine materiale, emozionale ed elemento di congiunzione tra la vita terrena e la vita ultraterrena.
Dalle antiche pagine dei libri di storia, di lontana e scolastica memoria, il popolo dei Fenici, già conosciuto dal I secolo a.C., prende una forma concreta. Le anfore da mensa di importazione greca ci introducono in un’atmosfera di convivialità e ci indicano il valore di una civiltà che ha fatto dello scambio il suo punto di forza. Grandi navigatori e commercianti, i Fenici erano organizzati in un sistema di città-Stato che sorgevano sulle coste dell’attuale Libano. Le più importanti erano Biblo, Sidone e Tiro.
Biblo ha un periodo di splendore nel II sec. a.C., poi perde importanza politica nel I secolo. Ha rapporti privilegiati con l’Egitto. All’interno del percorso che ci presenta un popolo non solo di commercianti, ma anche di artigiani, possiamo notare come questo rapporto con gli Egizi sia presente nella creazione di gioielli che richiamano spesso le divinità egizie di Iside e Horus.
Sidone emerge dal punto di vista politico dal I millennio a.C. Il suo porto è tra i più attivi del Mediterraneo. Il suo territorio si estende da Beirut fino al fiume Litani a Sud. I suoi re si impegnano in grandi opere edilizie come il celebre santuario di Bustan esh-Sheikh dedicato al Dio Eshmun e alla Dea Astarte.
Tiro si estende dal fiume Litani a Sud fino al Monte Carmelo. Fondò numerose colonie nel Mediterraneo, tra cui Cartagine. Didone fugge infatti da Tiro dopo che suo fratello Pigmalione le uccise il marito. Molto importante è il Santuario di età ellenistica (III-II secolo a.C.) dove vengono venerati il dio Milkashtart e la dea Astarte. Una testimonianza del culto del dio Milkashtart è dato da un ritrovamento della base di una statua, probabilmente raffigurante una specie di sfinge della quale sono rimasti solo le zampe. La base reca un’iscrizione scritta nell’alfabeto fenicio che contiene la dedica al dio.
Nel sito di Al-Bass si trova la più importante Necropoli di Tiro con sepolture e incinerazione datate tra la fine del X e l’inizio del VI secolo a.C. . In genere per accompagnare i defunti nel viaggio ultraterreno accanto all’urna per le ossa del defunto e a quella per le ceneri, venivano messe una coppa per bere, una brocca da vino e un’altra con resti di miele e olio. Molto frequente nelle necropoli è la stele con incisione.
Tra le colonie fondate da Tiro emerse Cartagine. Nonostante il mito della sua fondazione legato a Didone, Cartagine non fu mai una monarchia, bensì uno stato oligarchico retto da due Assemblee: Il Senato e la Corte dei 100 e da due magistrati annuali, i Sufeti. La Corte dei Cento è una corte di alta giustizia e ha il compito di controllare i comandanti militari. Il sufetato invece è una carica suprema e vi si accede per elezione. Ha il compito di convocare l’Assemblea del Popolo, ossia un collegio di magistrati con poteri civili e militari, deve presentare gli affari da discutere, giudicare e nominare i comandanti militari.
Il percorso espositivo mette in evidenza una società molto forte nell’artigianato del vetro, dell’avorio e dei gioielli. Il vetro opaco viene realizzato arrotolando le bacchette attorno a un fusto metallico con o senza un nucleo di argilla o di sabbia. Con questa lavorazione vengono prodotti oggetti in serie come pendenti raffiguranti teste umane, oppure animali, vasetti per cosmetici. Tale produzione ebbe un notevole impulso intorno all’ VIII e al VII secolo a.C.
Sono presenti anche maschere di terracotta, tipiche dell’artigianato fenicio e che vennero anche rielaborate dai Cartaginesi tra il VII sec. a.C. Le maschere negroidi sono documentate solo a Cartagine dal VII secolo a.C.. Le maschere “ghignanti”, hanno invece un’ampia diffusione dal V secolo a.C. La loro funzione è legata ai cerimoniali.
L’oreficeria si ispira alla tradizione orientale realizzando pendenti, collane, orecchini, braccialetti e anelli utilizzando le tecniche dello sbalzo, della martellatura, della granulazione e della filigrana e le combina con altre lavorazioni specialistiche come la glittica (arte di incisione con le gemme), la produzione di vetro e l’intaglio di materie dure di origine animale come osso, avorio e conchiglie.
Gli scambi commerciali e culturali tra Roma e Cartagine furono fecondi ed entrambe traevano ispirazione dalla cultura greca. Delle lastre d’oro con delle incisioni rappresentano un momento di scambio tra le due civiltà. Una civiltà sostanzialmente agricola quella romana, abili navigatori i Cartaginesi. Ben presto anche i Romani dovettero imparare ad affrontare i rivali in mare. Molto importante il contributo dell’archeologia sottomarina che nei pressi delle Isole Egadi ha trovato reperti di antichi navi e vasi che servivano per il trasporto delle merci, nonchè imponenti rostri. Le due civiltà si affrontarono nel corso delle tre Guerre Puniche a partire dal 264 a.C.. A fino alla vittoria del 146 a.C di Publio Cornelio Scipione che espugna e distrugge la città.
Il percorso si conclude con i mosaici policromi legati alla Nuova Colonia Iulia Concordia Carthago fondata da Augusto nel 29 a.C, trai quali emerge quello della Donna di Cartagine.
Interessante anche la struttura multimediale che in modo scorrevole ed efficace percorre l’idealizzazione di Cartagine e dei personaggi di Didone e Annibale nella letteratura, nel cinema e nella pittura.
Mostra molto ricca e piena di spunti per riscrivere la storia di Didone con altri occhi.