Questo è un momento storico di emergenza. Emergenza sanitaria, ma anche emergenza d’identità.
Forse perché siamo abituati a vedere il nostro riflesso negli altri – fotografia di noi stessi – e siamo poco inclini a vedere davvero chi siamo: la nostra vita, il nostro quotidiano, le “cose di casa” che ci passano sotto gli occhi distrattamente e quelle persone che ci vivono accanto senza nemmeno incontrarci davvero.
Sono in tanti quelli che, rallentando i tempi, stanno ritrovando se stessi, ma sono in tanti anche quelli che si stanno perdendo.
Lo sappiamo che ti stai stancando di leggere e di vivere tutto questo, d’altra parte però dobbiamo assicurarci un futuro all’insegna dell’innovazione creativa, abbiamo bisogno di energia positiva e quando tutto questo sarà finito, forse vorremmo ricordare solo ciò che di bello ci ha lasciato.
Vorremo lanciare in aria le mascherine e fotografare la libertà.
Ricordiamoci però che la libertà del creare è frutto di un duro percorso – come quello che stiamo vivendo – e un percorso è tanto più fruttuoso quanto più è ardito, faticoso da camminare.
Forse, vale la pena documentare ogni tappa, ogni ostacolo da superare e perché no, ricordare dove ci ha portati e come.
Resta vero che, questo 2020 lo ricorderemo bene e che una fotografia impressa nella memoria potrà tenere traccia di un sentire sempre soggettivo, ma che invade la collettività di oggi e magari di domani. Una collettività creativa che è un’insieme di singoli e che appare scissa tra due grandi gruppi: quello che ottiene stimoli dall’esterno e che sono inclini alla visione indotta e quello che brilla di luce propria e che è portatore di un magnifico virus chiamato “creazione”.
Riflessioni di quarantena sulla fotografia: mantieni in vita il pensiero creativo
Ci è stato chiesto di non uscire, di non viaggiare e di non spostarci, per tentare di isolare un piccolo ma insidioso esserino che si sta impossessando di noi: che siamo gente tosta – è vero – ma anche gente capace di cose magnifiche.
“Ma io che sono un fotografo, ora che mi sento in gabbia, cosa posso fare? Ho sempre viaggiato e amo la natura, ho sempre immortalato il mondo e la sua bellezza e ora mi sento svuotato”.
Noi, pensiamo che la “creazione” sia altamente contagiosa e che possa essere trasmessa attraverso la condivisione.
In un’epoca in cui l’immagine racconta più di mille parole, come non usare la fotografia come memoria? Come non utilizzare la fotografia come visione?
Dopo un periodo di “assestamento” emotivo, arriva l’ora di reagire. E’ quello che tanti amici fotografi hanno fatto sull’onda di un momento che invade la psiche e che inevitabilmente, nella mente di un creativo, si fa visione.
Conosci il Principio creativo di realtà?
“Una vita senza ricerca, porta l’anima a spegnersi”.
Intendiamo l’anima come concetto legato all’ “inconscio”, un inconscio che deve divenire “eretico”. Ma in che senso?
Eretico perché nella mente di un creativo, la parte più nascosta dell’anima progetta differenze: quando crei, porti l’anima – l’inconscio – al tradimento di una convinzione che è l’immagine costruita dal collettivo.
Il tradimento dello ‘stereotipo’.
Progettare differenze significa affrontare un percorso senza “mascherina”, rischiando di demolire gran parte delle tue convinzioni, delle tue paure: sfidare le tue conoscenze, superare quelle regole accademiche o “stilistiche” che ti hanno insegnato e sperimentare il contatto reale con te stesso, con il tuo sentire più sconosciuto che – tra l’altro – questo momento porta in superficie. Ma come riconoscere la scintilla creativa?
E’ chiaro che prima di qualsiasi altra cosa hai bisogno di “credere” e di “volere” oltrepassando quelle scuse che ti racconti quando pensi di non poter scattare perché rinchiuso in casa, per esempio. Vai oltre la lagna, l’unica soluzione per sentirsi meglio è fare.
Non preoccuparti del tecnicismo, l’immagine non può che essere la tua realtà.
Anche l’utilizzo della tecnologia aiuta, c’è chi sfrutta anche uno strumento che non gli appartiene – che non ha mai usato – o chi fa volare droni dalle finestre. C’è chi attraverso milioni di cam nel mondo, cattura la condizione delle città deserte “a distanza”.
C’è chi non guarda fuori ma dentro casa, trovando vecchi oggetti dimenticati, scorgendo particolari mai visti o lavorando su soggetti mai esplorati davvero.
Lasciati andare senza giudizio.
Come una fotografia racconta la quarantena 2020
Siamo sempre connessi, questa è la realtà. Tra i nostri contatti ci sono tantissimi fotografi e creativi, italiani e non: persone che come chiunque si trova dietro a quelle che ormai sono divenute prigioni, trincee, luoghi stretti per l’anima, seppur conosciuti e famigliari.
Eppure quante volte abbiamo sognato la nostra “isola deserta”?
Quante volte abbiamo desiderato allontanarci da tutto nei momenti di stress dati da quelle che finora è stata un’epoca in continua rincorsa?
Ecco che si aprono degli scenari emotivi e creativi contrastanti e che stupiscono in primo luogo se stessi: alle volte per la semplicità che moltiplica l’efficacia dello scatto, altre per la ricerca tecnica e sistematica dell’utilizzo di uno strumento affine – anche di uno smartphone – come fosse il prolungamento del cuore o il frangente veloce di un battito di ciglia o, ancora chi sfrutta la tecnologia e il mondo digitale di google heart.
Abbiamo pensato di selezionare i creativi che più ci hanno colpiti e che cercano, nell’immagine, l’appartenenza di un sentire e di un desiderio: una condizione che forse riconoscerai o che potrai prendere come spunto per ragionare, per lavorare, per evadere o per sognare.
In questa idea ‘a puntate’ che chiamiamo “fotografie di quarantena”, cercheremo di pubblicare ogni settimana un autore creativo, approfondendo cifra stilistica e ricerca.
Il primo di cui parleremo la prossima settimana, è di Roma e si chiama Claudio Orlandi (articolo di approfondimento e intervista: giovedì 2 aprile 2020 ) che prima della quarantena aveva composto la maestosa serie di scatti dal titolo “ultimate landscapes” > vedi copertina < nei luoghi più spettacolari che la natura possa offrire, documentando con estrema sensibilità la drammaticità dello scioglimento dei ghiacci: paesaggi bianchi coperti dai teloni contenitivi di emergenza, che divengono immagini potenti di un mondo che cambia e del tentativo disperato dell’uomo di contenere il danno.
Appaiono poetici, silenziosi e intoccabili, quasi fossero sempre stati quelli che vediamo.
Oggi, Claudio, ci ha fatto dono di condivisione che anticipa una nuova ricerca (vi mostriamo qualche immagine). Nella sua anima di creativo, la visione è legata per forma e per sostanza al suo lavoro precedente, ma di questo ti parleremo meglio assieme a lui, giovedì prossimo.
Se guardando le immagini ti stai chiedendo come ha fatto – ora che non può viaggiare – possiamo risponderti che non c’è freno fisico o scusa che tenga fermo un “viaggiatore”!
Oggi è possibile e lui lo ha fatto a distanza, grazie alla tecnologia messa a punto da Google heart. Ma questa non è fotografia!
– penserai – posso farlo anch’io!
Ed ecco che si cade nella provocazione e nell’inganno.
Claudio, proprio sfruttando il principio creativo di realtà, si pone come osservatore e come regista – abbandonando il tecnicismo e ascoltando solamente la voglia di evasione, di visione.
Viaggia tutto il giorno attraverso campagne e continenti, grandi foreste e luoghi impossibili e i suoi occhi catturano l’intervento dell’uomo sul territorio, le geometrie naturali, alcune magiche linee che dall’alto appaiono come qualcosa di diverso e i colori di una natura che ricordano le opere impressioniste di un tempo.
“Così mi sento ancora vivo e combatto questa reclusione forzata!” dice!
D’altra parte lo abbiamo detto: una vita senza ricerca, porta l’anima a spegnersi.
E se sei un fotografo frustrato, ricorda che l’ispirazione la trovi dentro a te stesso!
> gli scatti di anteprima in galleria.