Era il tardo pomeriggio del 29 ottobre 1579, quando il Galeone Santo Spirito, nell’estremo tentativo di trovare riparo da una terribile mareggiata, dovette arrendersi alla furia del mare colando a picco nel tratto davanti a Camogli. Gli annali la annoverano tra le imbarcazioni più grandi e robuste dell’epoca, che purtroppo nella circostanza narrata, non ebbe scampo.
Partito da Genova il giorno prima, con un importante carico di cannoni, munizioni, chiodi per costruzioni navali ma anche di stoffe preziose e lane, era diretto nel porto di Napoli dove non giunse mai. I 130 membri d’equipaggio, si narra furono tutti tratti in salvo dagli abitanti dei paesini affacciati sul mare nel tratto che vide consumarsi la tragedia del naufragio.
Varato nel porto della città Dalmata di Ragusa, l’odierna Dubrovnik, il Galeone Santo Spirito, già un anno prima aveva subìto ingenti danni incontrando un terribile fortunale mentre dalla Spagna faceva rotta alla volta dei porti di La Spezia e Livorno. Ne riportò ingenti danni tanto da essere costretto a tornare nei cantieri navali per importanti riparazioni sia agli alberi che allo scafo. La notizia del naufragio del Galeone Santo Spirito destò all’epoca molta risonanza poiché si trattava del Galeone più grande e maestoso operante nell’area del Mediterraneo.
Dalla Caravella al Galeone passando per la Caracca
L’andare per mare è stato da sempre per l’uomo una sfida irrinunciabile, tanto che fin dagli albori della storia, gli ominidi tentarono l’impresa con mezzi molto rudimentali, di cui non sappiamo gli esiti ma di certo la storia ci insegna che parte dei percorsi migratori furono senz’altro compiuti via mare.
Il richiamo del mare non rimase mai sopito e nell’evoluzione dell’uomo ha sempre trovato uno spazio fondamentale, fatto di progressioni e sviluppi del settore, pertinenti via via alle esigenze del momento, ora militari ora commerciali, fino ad arrivare agli impieghi strettamente legati al trasporto di passeggeri, per raggiungere le Americhe nei momenti di migrazione avvenuti dall’Europa tra metà ‘800 e i primi lustri del ‘900.
Il Galeone compromesso evolutivo tra robustezza e agilità
Nato come nave da guerra per esigenze storiche, il Galeone fu progettato come evoluzione della Caracca, studiato in modo specifico per affrontare agilmente la navigazione oceanica, poiché dalla scoperta dell’America, le esigenze cambiarono velocemente fino a spostare l’intero asse economico commerciale dal Mediterraneo all’Atlantico. Progettato e costruito per essere più stabile in acqua, con il potenziamento di questa caratteristica, il Galeone diminuiva la sua resistenza al vento, raggiungendo il grande traguardo di essere di fatto più veloce e manovrabile di tutte le imbarcazioni fino ad allora conosciute.
Un naufragio evoca inevitabilmente l’idea di un destino spezzato, per le vite umane che eventualmente vi si trovano a perire, ma anche dello stesso natante che a guardar bene ha vere e proprie caratteristiche “umane”. Ha un nome che i vecchi lupi di mare raccontano non si debba cambiare mai, anche se la nave viene ceduta o venduta. Al varo viene fatto un vero e proprio “battesimo” del mare infrangendo una bottiglia sullo scafo e se non si rompe, tale circostanza negli ambienti, si dice sia foriera di grandi sventure.
Si narra, ma con il senno di poi è certamente più facile che il Titanic ebbe un battesimo contornato da strane circostanze non proprio favorevoli, ma questa è un’altra storia e anche un altro film.
Tornando alla nostra rotta, il Galeone Santo Spirito, dopo il suo naufragio fece molto parlare di sé, proprio per le caratteristiche di robustezza che come detto, lo indicavano come la più grande e invincibile, per l’epoca, nave del mediterraneo.
Evidentemente la storia di questo splendido Galeone ha trovato il modo di sopravvivere al suo stesso naufragio, prima nel passaparola dell’epoca e poi via via nei racconti e nelle documentazioni storiche giunte fino a noi.
Da tempo infatti si era alla ricerca del relitto del Galeone Santo Spirito ma, dopo un primo tentativo negli anni ’70 non andato a buon fine, grazie all’impegno e alla caparbietà dei due scopritori, i sommozzatori Edoardo Sbaraini e Gabriele Succi i quali riferiscono il momento della scoperta come estremamente emozionante, avvenuto ad una profondità di 50 metri che per i non addetti ai lavori è solo una misura, ma rappresenta il limite massimo entro cui è possibile arrivare con strumentazione standard.
Riferiscono entrambi che lo scafo è posto su un fianco e che molto probabilmente la parte adagiatosi sul fondale potrebbe essere ben conservata. Particolare molto importante poiché sarebbe un’occasione unica per indagare sulle tecniche di costruzione dell’epoca.
Paradossalmente sappiamo tutto sulle navi romane, di cui sono giunti ai giorni nostri documenti più che completi circa le tecniche di realizzazione che confrontate con i reperti rinvenuti hanno permesso una visione d’insieme senz’altro molto vicina alla realtà.
Del Galeone invece e della sua tecnica di costruzione sappiamo pochissimo se non quello che se ne deduce dalle immagini desunte da dipinti e disegni perché data la situazione di forte concorrenza tra le grandi potenze all’epoca conosciute che tentavano letteralmente l’assalto al nuovo mondo, l’esigenza di farlo con mezzi robusti e superiori alla concorrenza ha di fatto blindato la divulgazione delle piccole grandi astuzie impiegate per tali costruzioni navali.
Ora non resta che aspettare quali saranno i segreti che dai fondali, il Galeone Santo Spirito vorrà narrarci.