La vita di Modigliani arriva nelle sale cinematografiche di tutta Italia, per celebrarne i cento anni dalla morte.
Un docu-film che propone di ripercorrere la vita dell’artista livornese, costretto a cedere il passo all’esistenza ancora giovane, quando forse la sorte stava per riservargli il riconoscimento artistico che meritava ma che è arrivato postumo, copioso come un fiume in piena.
Il Maledetto Modigliani diretto da Valeria Parisi, sarà nelle sale cinematografiche con una programmazione dedicata molto stretta; solo nei giorni del 12, 13 e 14 ottobre, la pellicola Maledetto Modigliani sarà proiettata, a beneficio di quanti avranno il privilegio di accaparrarsi un biglietto, poiché il tutto avverrà senza dimenticare le vigenti norme per il distanziamento sociale.
Un omaggio celebrativo per Modigliani a cento anni dalla morte, evento messo in risalto anche nelle città che hanno avuto più a che fare con l’artista, nelle quali, attraverso mostre ed iniziative, se ne sta celebrando la memoria già da qualche mese ma che in concomitanza con l’uscita del film, propongono programmi mirati a favore del pubblico.
Modigliani a cent’anni dalla morte
Livorno, Parigi e Vienna, tutte unite da un unico filo conduttore: Modigliani e i cent’anni dalla morte, avvenuta il 24 gennaio 2020 nella capitale francese.
In ognuna di esse si celebra di pari passo l’uomo e l’artista, alla ricerca della conferma che forse l’uno non ci sarebbe senza l’altro. Binomio a contrasto che porta ad un momento di riflessione importante sull’artista Modigliani che molta critica ha voluto affrontare ma la cui vera essenza forse mai nessuno per davvero sembra essere riuscito a violare.
Amedeo Clemente Modigliani (1884-1920), soprannominato “Dedo” o “Modì”, pittore e scultore, stroncato da una vita dissoluta e bohémien, segnata dalla tisi, viene oggi considerato uno dei più grandi artisti del XX secolo.
A Parigi presero a chiamarlo Modì, sulla scia del suono della pronuncia francese del termine maudit che sulle prime ha l’aria di un diminutivo vezzeggiante ma va invece interpretato nella sua traduzione dalla lingua cugina con il termine: maledetto.
Un chiaro segnale quello della vivacità culturale parigina del tempo che proietta l’artista livornese tra quella schiera di artisti che per la cultura francese sono da considerarsi d’avanguardia, tanto da annoverarlo tra i maledetti.
Ma questo fervente clima culturale in cui egli vive, come molti altri, fra tutti Picasso, non lo convincerà mai a trasformarsi, attraverso l’adesione a nessun movimento d’avanguardia, poiché magistralmente, l’artista livornese, pur vivendo una realtà culturalmente coinvolgente, riuscì a rimanere se stesso, nell’originalità del suo linguaggio artistico, rendendo così unica quell’italianità che ha sempre caratterizzato le sue opere.
Produzione artistica che a quanto sembra non ha altri esempi al mondo, almeno tra i pittori moderni, di una sistematica rappresentazione solamente di figure solitarie.
Probabilmente a voler significare l’essere di fronte a se stessi in un acceso confronto a tu per tu con il prossimo o il proprio ego, negli incontri concordati o occasionali preparati dal destino, nel suo essere pianificatore di eventi casuali ai quali ogni uomo deve sottostare.
Modigliani protagonista ma a modo suo
Il Modigliani artista trova a Parigi il centro della vita culturale europea di quegli anni, la cui vivacità culturale sembra la più giusta, proponendo un ambiente culturale ricco di spunti per artisti e letterati.
Intorno alle botteghe dei mercanti d’arte si sviluppavano, nella capitale francese, le intere vicende dei pittori e scultori dell’epoca e Modigliani partecipa vivamente a questo clima culturale senza mai però rimanerne totalmente coinvolto ed in questo sta la sua grandezza artistica.
L’artista toscano diventa, nelle vie e nei salotti culturali parigini, di fatto forse anche suo malgrado, un grande protagonista del novecento e la sua eccezionalità risiede esattamente nel non essersi fatto fagocitare da nessuna corrente contemporanea, rimanendo esattamente se stesso e diventando così un prodotto della cultura italiana di rilievo internazionale, per il fatto di risiedere esattamente in quella Parigi.
Arrivò nella capitale francese nel 1906 e aprì subito il suo atelier non senza fatica, dove riuscì ad esporre, nell’arco di tempo di quasi quindici anni, le sue opere in 12 mostre, di cui solamente una personale, poiché negli anni della guerra risultò organizzativamente più facile avere spazio e visibilità in mostre collettive.
Morì di tisi a soli trentasei anni, due anni dopo la fine della grande guerra.
L’ultimo romantico se ne andava lasciando dietro di sé la scia della sua irruenza, timidezza e aggressività.