Leonardo da Vinci continua a stupire pubblico ed esperti attraverso lo studio delle sue opere, una recente analisi rivela che il maestro non realizzò il famosissimo ritratto di Monna Lisa a mano libera, bensì con la tecnica a spolvero.
L’importante scoperta è stata fatta grazie al lavoro svolto da Pascal Cotte e Lionel Simonot, il primo ingegnere dei laboratori Lumière Technology ed il secondo specialista di proprietà ottiche dei materiali dell’Università di Poitiers.
Lo studio sulla Gioconda di Leonardo da Vinci e la scoperta della tecnica utilizzata: lo spolvero
Per chiarirci le idee vediamo cos’è la tecnica a spolvero, molto diffusa ed utilizzata dai pittori toscani dell’epoca: si esegue un disegno preparatorio preferibilmente su cartoncino, si praticano diversi forellini seguendone il contorno, si appoggia il disegno forato sul supporto finale e lo si tampona con un sacchetto di tela riempito con carboncino. Una volta eseguito il procedimento si rimuove il cartone e si vede, sul supporto, la traccia a puntini da seguire per eseguire l’opera. Questo è il metodo che Leonardo da Vinci ha seguito per realizzare la Gioconda. Si può quindi sostenere l’esistenza di un cartone preparatorio utilizzato da Leonardo da Vinci per riportare il disegno sulla tela finale, la cui immagine non è esattamente quella della Gioconda.
Questa scoperta, come d’altronde molte altre importanti, è avvenuta in modo casuale poiché non era lo scopo dello studio richiesto a Cotte e Simonot dal Centre de recherche et de restauraton des musées de France: l’indagine di partenza era sulla firma spettrale dei pigmenti utilizzati da Leonardo da Vinci. Cotte dichiara in merito: “È stata una grande emozione, ho dovuto mostrare le immagini a tante persone per convincermi che non sognavo”.
Nella Gioconda la tecnica a spolvero è stata riscontrata in due sezioni dell’opera, sull’attaccatura dei capelli alla fronte e sul bordo inferiore della mano destra (vedi figura a fine articolo). Nello specifico sulla fronte si nota che le tracce dello spolvero sono disposte diversamente rispetto al disegno finale a testimonianza del fatto che Leonardo da Vinci cambiò idea sulla sua opera mentre a stava realizzando. Altra testimonianza di un cambio di esecuzione è il piccolo disegno vicino alla testa della Monna Lisa (Lisa Gherardini) , nello specifico sembrerebbe una decorazione per capelli (forcina) che non è stata poi dipinta dall’artista.
Le analisi non invasive sono state effettuate con le tecnologie di Lumière Technology dietro richiesta del Louvre: il dipinto è stato digitalizzato grazie ad una fotocamera multispettrale in grado di produrre immagini ad alta risoluzione su 13 lunghezze d’onda (10 nella banda visibile ad occhio nudo e 3 nella banda NIR vicina a quella infrarossa) per permettere alla luce di penetrare nella superficie pittorica ed analizzarla. Le immagini ottenute sono state combinate con un nuovo metodo di amplificazione degli strati detto L. A. M. (layer amplification method) che permette di ricavare altre immagini tra le diverse lunghezze d’onda grazie all’utilizzo di diversi coefficienti di calcolo. Questo metodo ha permesso di ottenere 1.650 immagini differenti.
Il connubio tra i due metodi ha permesso di avere una precisa conoscenza della struttura di tutti gli strati di materiale utilizzato: le vernici, i pigmenti, la dimensione della grana dei pigmenti, i leganti (c’era, uovo, mastice, olio) ed i seccativi (piombo) , gli additivi (vernice, mastice, colla, vetro) , i metodi di preparazione dei colori e la loro sovrapposizione, la preparazione della superficie (calcite, carbonato di calcio) , i fattori di invecchiamento dei materiali e molto altro.
Cotte e Simonot spiegano che questo metodo di ricerca può dare dei falsi positivi, per questo motivo le immagini ottenute devono essere verificate da uno specialista di pittura che possa correttamente interpretare i rilevamenti.