Orlano, Angelica, Bradamante e Rinaldo, sono nomi che richiamano scene di opere pittoresche, legate alla tradizione dei pupi siciliani. Ci rimandano indietro nel tempo, direttamente alla corte di Carlo Magno, e ci fanno rivivere storie incredibili. Storie di paladini e di fedeltà all’Imperatore e alla religione cristiana. Questi racconti, che si tramandano di generazione in generazione, sono ancora vivi, grazie ai pupari.
I pupari hanno la grande abilità di donare voce e mobilità ai pupi, che lottano per la propria amata, per il proprio imperatore e contro gli infedeli. Le storie dei pupi siciliani, continuano ad affascinare grandi e bambini, e oggi vedremo alcune caratteristiche. In particolare la scuola della tradizione catanese.
Le storie raccontante fanno parte del ciclo carolingio, le più conosciute sono Orlando furioso e Orlando innamorato, ma alcuni pupari, usano i pupi per raccontare altre storia, più vicine a noi. E’ il caso di Angelo Sicilia e Francesca Prestia, che cantano le storie dei moderni paladini, che lottano contro la Mafia.
Storia dei Pupi Siciliani
L’Opera dei Pupi siciliani è un particolare tipo di teatro di marionette, che si è diffuso nel Sud Italia alla fine del 1700. Le prime rappresentazioni erano eseguite con i pupi in paggio, cioè non armati, come siamo soliti vedere. Poche famiglie siciliane ancora oggi tramandano la magica arte del cunto orale e del teatro dei pupi.
I pupi siciliani si distinguono dalle altre marionette essenzialmente per il meccanismo di manovra e per il repertorio, costituito quasi per intero da narrazioni cavalleresche derivate in gran parte da romanzi e poemi del ciclo carolingio. Le marionette del Settecento venivano animate dall’alto per mezzo di una sottile asta metallica collegata alla testa attraverso uno snodo e per mezzo di più fili, che consentivano i movimenti delle braccia e delle gambe.
Nella prima metà dell’Ottocento, un geniale artefice, rimasto ignoto, escogitò degli efficaci accorgimenti tecnici, che attualmente possiamo notare. In questo modo le marionette diventarono pupi.
Lo sconosciuto inventore fece in modo che l’asta di metallo per il movimento della testa non fosse più collegata ad essa tramite uno snodo, ma la attraversasse dall’interno. Inoltre sostituì il sottile filo per l’animazione del braccio destro con la robusta asta di metallo, caratteristica del pupo siciliano. Questi nuovi espedienti tecnici consentirono di imprimere alle figure animate movimenti più rapidi, diretti e decisi, e perciò particolarmente efficaci per “imitare” sulla scena duelli e combattimenti, fondamentali nelle storie cavalleresche.
Esistono in Sicilia due differenti tradizioni dell’Opera dei Pupi: la scuola palermitana, affermatasi nella capitale e diffusa nella parte occidentale dell’isola, e quella catanese, affermatasi nella città etnea e diffusa nella parte orientale dell’isola ed anche in Calabria.
Le cronache raccontano che l’iniziatore dell’Opera a Catania fu don Gaetano Crimi (1807 – 1877), il quale aprì il suo primo teatro nel 1835.
Quali sono le differenze tra la scuola tradizionale catanese e quella palermitana?
Il fascino dei pupi siciliani e delle loro storie è innegabile, ma esistono due tipi di scuole, che presentano delle evidenti differenze. Le due tradizioni differiscono per dimensioni e peso dei pupi, per alcuni aspetti della meccanica e del sistema di manovra. Ne segue anche una diversa concezione teatrale e dello spettacolo, che ha fatto sì che nel catanese si affermasse un repertorio cavalleresco ben più ampio di quello palermitano.
I pupi della tradizione palermitana sono alti circa 80 centimetri e sono mossi dal lato del palcoscenico, a braccio teso. Il manovratore sta tra le quinte, con i piedi sullo stesso tavolato in cui si muovono i pupi. La larghezza dell’apertura scenica è limitata dal fatto che i manovratori si devono poter sporgere senza farsi vedere nell’atto di passare un pupo da un lato all’altro. Il capo puparo regge tutto lo spettacolo, dà indicazioni agli aiutanti e per la musica.
Per i pupi palermitani è doveroso far notare anche alcune caratteristiche della meccanica. Questi pupi hanno ginocchia articolate; e se il pupo è un guerriero, la spada si può sguainare e riporre nel fodero. La superficie d’azione dei pupi è più profonda che larga: la larghezza della scena è limitata dalla possibilità degli animatori di sporgersi dalle quinte senza farsi vedere dai lati. In questo modo si ha una concezione teatrale più elementare e semplificata.
I pupi siciliani, nati dalla scuola tradizionale catanese, sono alti 120-130 centimetri e vengono manovrati dall’alto di un ponte che si trova dietro la scena di fondo. Questo permette ai pupari di muoversi in un solo piano e di scostarsi soltanto poco dallo scenario. Per questo motivo il teatro catanese è poco profondo e guadagna in larghezza e visibilità.
Le ginocchia dei pupi catanesi sono rigide. A causa del peso e della difficile manovrabilità, il teatro catanese ha bisogno di un maggior numero di pupari. I parlatori non muovono i pupi, ma stanno seduti di lato, in una posizione che gli permetta di vedere il palcoscenico. I pupi della tradizione catanese sono più realistici, hanno una concezione teatrale tragica e sentimentale.
Distinguere i pupi è facile. I cristiani e in genere i “buoni” entrano sulla scena da sinistra rispetto allo spettatore. I paladini portano gonne corte e ognuno ha il proprio stemma, mentre i saraceni portano pantaloni alla zuava e hanno stelle e mezzelune.
Il pupo palermitano, si distingue da quello catanese anche dalla vita che avrà. Il pupo della scuola palermitana, una volta costruito, non cambia mai. I pupi della scuola tradizionale catanese si trasformano e si evolvono. Quando un personaggio muore, viene smontato e serve alla creazione di un altro personaggio. Un ciclo di nascita e rinascita, che trova la sua apoteosi nella realizzazione di uno spettacolo di pupi, sotto la guida di abili pupari.
In Sicilia è facile poter ammirare uno spettacolo di pupi. Per gli appassionati è possibile anche visitare dei musei dedicati ai pupi siciliani e ai pupi catanesi. A Randazzo, vicino Catania, il Museo dei Pupi Siciliani ha oggi sede nell’ex macello comunale, presso Largo S. Giuliano. La collezione conta 39 pupi dall’immenso valore artistico e culturale. Realizzati tra l’800 e il ‘900 dai pupari della Scuola catanese: lo scultore Puddu Maglia ed Emilio Musumeci, famoso come scultore di teste, costruttore di armature, pittore di scene e parlatore. I costumi delle marionette sono fatti in stoffa pregiata e le armature di metallo cesellato.
Altro storico puparo è don Gaetano Napoli, che nel 1921, a Catania, diede inizio a una tradizione familiare che è arrivata fino a noi. Giunta alla quinta generazione di pupari, la compagnia offre la visita guidata all’Antica Bottega del puparo, in Via Reitano, 55 a Catania.
Nel 2008 l’UNESCO ha iscritto l’Opera dei Pupi tra i patrimoni orali e immateriali dell’umanità, è stato il primo patrimonio italiano a esser inserito in tale lista.