Duccio di Buoninsegna, figlio di Buoninsegna, nacque nella seconda metà del Duecento, intorno al 1255.
Le prime fonti documentali su di lui risalgono al 1278 e si riferiscono, come spesso accade, a momenti di vita quotidiana, in questo caso a pagamenti per la realizzazione di copertine di libri e per dodici casse dipinte per la conservazione di non meglio precisati documenti; entrambi i lavori, purtroppo andati perduti, erano su commissione del comune di Siena.
Nel 1308 il maestro Duccio di Buoninsegna si esprime nella sua opera maggiore con la Maestà del Duomo di Siena, una pala d’altare che magnificamente presenta lo stesso pregio artistico in entrambi i lati, particolare interessante poiché tali rappresentazioni artistiche puntavano alla facciata antistante come momento più rilevante dell’intera opera.
In quella che è a tutti gli effetti la facciata minore, non per pregio artistico ma solo perché destinata ad un’esposizione visiva di secondo piano, rivolta cioè al clero che all’epoca sedeva nella zona dietro l’altare, Duccio di Buoninsegna rappresenta in 26 formelle, le scene principali narranti la vita di Gesù.
Duccio di Buoninsegna e i particolari macabri della strage degli innocenti
Nella Maestà senese di Duccio di Buoninsegna, concentra con efficacia, la rappresentazione del realismo dei volti dei personaggi ritratti, capacità artistica questa ormai in Duccio consolidata di disegnare cioè oggetti, paesaggi e volti secondo dettami giotteschi in merito alla prospettiva diretta.
Esce dunque dai vincoli della prospettiva inversa di Cimabue sulla quale aveva strutturato la sua produzione artistica degli inizi.
Le vesti dei personaggi sono ricche in termini di volumi con chiaroscuri decisi grazie ad un’attenzione più rigorosa circa la provenienza della fonte di luce, sempre più ricalcante i dettami di Giotto.
L’intera opera spicca per la ricchezza dei dettagli e delle decorazioni.
Intarsi in marmo, fantasie finemente drappeggiate sullo schienale del trono, capigliature dei putti e gli ornamenti delle sante, tutto dipinto con attenzione e una cura estrema per i particolari che inevitabilmente fanno di quest’opera uno dei massimi capolavori del Trecento italiano.
Nella formella riguardante la strage degli innocenti, Duccio di Buoninsegna, interpreta il realismo stilistico se possibile in maniera ancora più forte, forse anche perché la storia in essa da narrate già di suo implica un approccio decisamente più coinvolgente.
Ma nello spazio di una piccola formella, Duccio di Buoninsegna riesce a imprimere su tela una delle scene più violente e brutali della storia dell’arte.
Sebbene in epoche successive lo sviluppo delle tecniche artistiche supportarono in maniera più efficace la trasposizione su tela di stati emotivi complessi, bisogna ben ricordare che con Duccio di Buoninsegna siamo agli albori della storia dell’arte, dove tutto è nuovo e non c’è un prima con cui confrontarsi o da cui muovere la propria, benché soggettiva, esperienza.
La ferocia, la brutalità e la violenza di tale rappresentazione lascia davvero poco spazio all’immaginazione
Fra tutti emerge il mostruoso particolare dei feroci aguzzini dal volto quasi ebro dalla vista del sangue innocente di tanti bambini i quali vengono rappresentati con spade affilate mentre infilzano i piccoli corpicini indifesi, sotto lo sguardo impotente e straziato delle madri, successivamente estraendole grondanti di sangue mentre a terra iniziano ad accumularsi corpi su corpi dei piccoli massacrati.
Una scena che avvolge e travolge nella sua estrema veridicità artistica che riporta in primo piano tutta la tragedia del racconto biblico in una rappresentazione quasi priva di simbolismi che cede il passo ad una trasposizione della realtà fin troppo veritiera e quindi brutale.