Le immagini che stanno facendo il giro del mondo in questi giorni sono solo una minima parte delle atrocità e delle barbarie che il popolo di Kabul sta subendo. A pagarne le conseguenze tutti. Indistintamente. Uomini, anziani, bambini, donne.
Donne che negli ultimi 20 anni hanno provato a lottare per i propri diritti e che, forse, solo in misura limitata, potevano ammettere di esserci riuscite. Shamsia Hassani è una di quelle. Donna. Afghana. Artista, graffiti writer e docente di scultura presso l’Università di Kabul. Famosa in tutto il mondo per i suoi murales che raffigurano donne che spuntano tra i palazzi di Kabul.
Il fatto che sia una donna che va per le strade a dipingere, dove è pericoloso anche solo camminare da sola all’aperto a Kabul. È così fiera, indipendente e forte. Sta dando voce alle donne in Afghanistan – queste le parole di Ali Subotnick curatore dell’Hammer Museum.
Chi è Shamsia Hassani?
Shamsia Hassani è nata nel 1988 a Teheran, dove i suoi genitori, originari del Kandahar, emigrarono durante gli anni della guerra. Mostrò fin da piccola interesse per la pittura, ma non le venne permesso di studiare le arti, perché considerate materie proibite per gli studenti afgani.
Abbiamo molto in comune io e Shamsia: entrambe nate nello stesso anno. Entrambe appassionate di arte. Eppure con strade così diverse perché…io scelgo, studio, decido, amo, desidero. Autonomamente.
Come persona afgana ho dovuto affrontare molte limitazioni. Non mi hanno permesso di studiare nel dipartimento artistico a causa della mia nazionalità. Così, quando sono tornata in Afghanistan con la mia famiglia, ho iniziato a studiare alla Facoltà di Belle Arti dell’Università di Kabul nel 2006. Poi ho iniziato a dedicarmi all’arte contemporanea.
I murales di Shamsia
Attraverso i suoi murales, Shamsia presenta le donne afghane appartenenti a una società in cui l’uomo è dominante, egemonico. I suoi lavori permettono a queste donne di avere un volto. Un volto che è intriso di forza, ambizioni e desideri. Un volto che spera nella ricostruzione di una società in cui anche la donna possa avere un suo ruolo chiave.
Sui muri, Shamsia rappresenta colorate figure avvolte nei loro veli mentre suonano, cantano, ballano, osservano la loro città. I suoi murales sono una vera e propria sinfonia. Allegorie della vita. Di una vita ancora non vissuta. Sono celebrazioni. Sono occhi bassi e sguardi persi. Sono parole taciute. Sono lotte che devono ancora essere combattute. Sono missioni. Prese di coraggio. Sono percorsi verso l’espressione del proprio sé, delle proprie volontà.
Voglio colorare i brutti ricordi della guerra, e se coloro questi brutti ricordi, allora cancello la guerra dalla mente delle persone. Voglio rendere l’Afghanistan famoso per la sua arte, non per la sua guerra.
Le donne di Shamsia
Le donne di Shamsia emanano grazia e femminilità: non sono oggetti. Sono essere umani che gridano un ideale di donna ben lontana da quella voluta (e imposta) dai talebani. Voglio dimostrare che le donne sono tornate nella società afghana con una forma nuova e più forte. Non è la donna che sta a casa. È una donna nuova. Una donna piena di energia, che vuole ricominciare.
Nulla per Shamsia è facile. Ancor meno lavorare in strada. A Kabul. Non le è permesso uscire di notte, perché donna. Talvolta nemmeno di giorno a causa dei bombardamenti. Deve evitare. Deve rispondere ai mille occhi giudicanti che la accusano di imbrattare i muri, che le criticano il suo non essere in casa.
Le persone in Afghanistan non sono contro l’arte, ma contro le donne che vogliono fare arte. È proprio per questa sua necessità di dire che nasce il progetto Dreaming Graffiti, realizzato lavorando su fotografie di luoghi al momento non accessibili ai graffiti. In poche parole, sono graffiti nella sua mente che diventano opere digitali.
Shamsia è una voce. È l’eco di libertà. È arte. Non è sola.
Grazia e denuncia in colori armonivi