Maestà d’Ognissanti, celebre pala di Giotto la cui realizzazione in modo non troppo concorde tra gli esperti, viene fatta risalire al 1310 con tempere e oro insieme su tavola.
E’ esposta in una grande sala del Museo degli Uffizi di Firenze proprio accanto a quelle di Cimabue e Rucellai, non solo una stanza dunque quella che ospita la Maestà d’Ognissanti ma un microfono dedicato all’arte, nel quale con un solo colpo d’occhio si percorrono, non solo secoli di storia dell’arte ma nei quali si riesce a cogliere in pochi metri lineari, l’essenza evolutiva di quelle che furono le solide fondamenta su cui a tutt’oggi poggiano i secoli successivi dello sviluppo artistico.
Dipinta molto probabilmente a Firenze, dopo l’esperienza che Giotto potè fare ad Assisi, e sicuramente dopo aver dipinto la Capella degli Scrovegni a Padova.
Gli esperti sono in grado di dare tali indicazioni poiché l’indagine sulla tecnica pittorica dimostra uno stile decisamente avanzato che si è ormai lasciato alle spalle gli schematismi relativi alla stesura tratteggiata del Duecento, i quali lasciano spazio come è ormai evidente nella Maestà d’Ognissanti, a una sfumatura più delicata pur rimanendo incisiva e regolare, la quale conferisce un volume mai visto prima alle figure.
Un tale nuovo senso del volume così ottenuto attraverso la tecnica del chiaro scuro dona alle forme una dimensione visiva più scultorea e apre alla semplificazione delle forme stesse che in seguito in quella che abbiamo già citato come momento di evoluzione artistica, saranno il fondamentale punto di partenza per gli studi del Masaccio.
La Maestà d’Ognissanti potrebbe tornare nella sua collocazione originaria
E’ questo ciò che si augura il Direttore degli Uffizi Eike Schmidt, il quale in più di un’occasione, per alcuni tipi di opere d’arte come la Maestà d’Ognissanti, auspica il ritorno alle loro sedi naturale, lì proprio dove l’artista le ha pensate così che possano godere a pieno degli spazi nei quali appunto sono state pensate:
In tanti musei statali si trovano tavole, tele, pale ed altri dipinti ideati e realizzati per chiese o cappelle. E visto che l’Italia si distingue da altri Paesi per la diffusione del patrimonio dei beni culturali su tutto il territorio, una ricongiunzione storica – ove possibile – riporterà valore ad opere d’arte e luoghi
Poichè i dipinti, continua sempre il Direttore degli Uffizi:
nella loro sede originale ritroverebbero il giusto contesto architettonico–spaziale e il rapporto con le altre opere d’arte, con una “valorizzazione virtuosa” dal punto di vista storico e artistico. E per giunta, le opere ricontestualizzate riacquisirebbero il loro significato spirituale originario, quello che in prima battuta aveva determinato la loro creazionela
Pala Rucellai di Duccio di Buoninsegna, che nel 1948 fu portata via dalla basilica di Santa Maria Novella e dagli anni ‘50 del Novecento è esposta nella sala di Michelucci e Scarpa, insieme alle Maestà d’Ognissanti di Giotto e di Cimabue. Non è mai entrata a far parte delle proprietà del museo. Certamente agli Uffizi questo monumentale dipinto offre la possibilità di un paragone stilistico con le due pale di Cimabue e Giotto, ma la sua assenza da Santa Maria Novella sottrae una parte essenziale alla sua storia e al suo senso complessivo.
Una nuova visione di frontiera dunque che potrebbe ben presto riportare molte opere nei luoghi d’origine così da dare inoltre veridicità storica al momento artistico.
Tutto questo però fatti salvi tutti i criteri di conservazione e sicurezza.