Il Maschio Angioino, pur nella sua magnificenza, in questo racconto fa solo da scenografia a quella che per centinaia di anni è stata una vera e propria misteriosa leggenda che ha mosso per un lungo periodo i suoi lugubri passi nelle segrete dell’imponente fortezza lambita dalle acque del Golfo di Napoli.
La scoperta risale a qualche anno fa, era infatti il 2019 quando durante gli scavi dei volontari della Galleria Borbonica accadde qualcosa che fin da subito scatenò l’entusiasmo dei presenti prima e in seguito dell’intera popolazione.
Esattamente dalle viscere di Pizzofalcone sono emersi denti aguzzi e ossa e a tutti fu chiaro che potessero appartenere a un antico animale e che forse il Maschio Angioino finalmente svelava il segreto di una delle sue tante leggende.
Probabilmente si trattava proprio del coccodrillo ormai divenuto leggendario che, secondo il mito napoletano tramandato da secoli, per un ampio periodo ha dominato, sempre celando la sua esistenza, il sottosuolo del Maschio Angioino.
Finalmente il Maschio Angioino, simbolo di Napoli, svela un lugubre mistero
Come ogni castello che si rispetti ha le sue segrete, ed il Maschio Angioino non è certo da meno, per cui sappi che nei suoi sotterranei si sono perpetrati fatti agghiaccianti che mai verranno svelati.
Tra questi, ce n’è uno in particolare di cui il popolo ha serbato tenacemente memoria, tramandando le poche notizie di generazione in generazione per secoli fino ai nostri giorni e fino quindi a quella scoperta di cui ti ho accennato poco fa.
I misteri sono così, fatti di tasselli, per scoprire i quali si compie un guardingo passo alla volta fino ad avere una visione d’insieme quanto più chiara possibile ma tutto senza fretta e senza soprattutto tralasciare nulla.
Appurato dunque, dal ritrovamento citato che il coccodrillo del Maschio Angioino di Napoli non è una leggenda, va aggiunto che in un recente studio è stato deciso di analizzarne il Dna prelevandolo dalle ossa e dai denti.
Dall’atteso responso di tale approfondimento scientifico, è stata stabilita l’epoca in cui l’animale è realmente vissuto e come ha fatto ad arrivare fino alle segrete del Maschio Angioino.
Le leggende si sa si tramandano di padre in figlio e in qualche modo sappiamo essere proprio questa la loro forza, senza però dimenticare che nel loro viaggio nel tempo esse acquisiscono particolari a volte troppo fantasiosi che a distanza di anni e secoli, offuscano seriamente la loro realtà di fondo.
Ecco dunque che dalle segrete del Maschio Angioino sono nel tempo affiorate più storie riguardanti un ipotetico coccodrillo.
Tante storie e leggende intorno al coccodrillo, inquilino misterioso del Maschio Angioino
Prima tra tutte è quella che vede coinvolto nel racconto il re aragonese Ferrante, figlio di Alfonso il Magnanimo, che è stato appurato utilizzasse una cella dei sotterranei, detta Fossa del Miglio, per rinchiudere i prigionieri condannati alle pene più dure.
Consuetudine decisamente all’ordine del giorno per il periodo e per un castello, ricordando con l’occasione quanti misteri ancora giacciono irrisolti nei vari manieri sparsi un po’ in tutta Italia.
Un voce autorevolissima come quella di Benedetto Croce, ha avuto modo di raccontare come molti prigionieri rinchiusi nella fossa nei sotterranei del Maschio Angioino scomparissero nel nulla, in tempi molto brevi quasi fulminei.
In questa fossa, si scoprì successivamente a meticolosi appostamenti, entrava un coccodrillo che azzannava i prigionieri trascinandoli in mare.
Si racconta che ad un certo punto, probabilmente dopo che ebbe in qualche modo esaurito il suo compito, l’animale fu catturato ed ucciso, quindi impagliata come si deve ed esposto come trofeo in bella vista sulla porta d’ingresso del Maschio Angioino così che tutti potessero vederlo.
Una ulteriore leggenda vuole invece che un coccodrillo impagliato fu offerto come ex voto da un soldato di ritorno dall’Egitto, durante il Medioevo, all’immagine della Madonna del Parto che si trovava nella cappella palatina, come racconta Pompeo Sarnelli in una delle prime “guide turistiche” di Napoli del 1685.
Grazie al recente studio condotto da Vincenzo Caputo Barucchi, ordinario di Anatomia comparata all’università politecnica delle Marche, insieme a Tatiana Fioravanti, esperta di Dna antico, e a Emanuele Casafredda, laureato in Restauro presso l’Accademia di belle arti di Napoli, che si è occupato del restauro dei resti del coccodrillo, che per oltre 150 anni è rimasto nei depositi del Museo di San Martino, si è scoperto che proprio quest’ultima leggenda sarebbe quella più verosimile.