C’è un luogo, tra le colline di Settefonti, frazione di Ozzano dell’Emilia, che pochi conoscono. Una chiesa immersa nel verde, nascosta tra campi e sentieri, dimenticata dal tempo e dagli uomini. La Pieve di Pastino, una delle più antiche pievi romaniche della provincia di Bologna, è crollata l’11 luglio 2025. Non per un terremoto, né per un evento eccezionale. È crollata perché nessuno l’ha ascoltata.
Un cedimento annunciato, lento, quasi pudico. Eppure devastante. Perché con quella parete che cede si sgretola una storia lunga quasi mille anni.
Un luogo sacro tra selenite e silenzi
La Pieve risale all’inizio del XII secolo, ed era un punto di riferimento per le comunità di tutta la valle. Con il suo campanile, il fonte battesimale, una cripta romanica decorata e l’inconfondibile pietra di selenite e arenaria gialla, non era solo una chiesa: era un presidio di memoria.
Sotto l’altare si apriva una cripta: piccola, spoglia, bellissima. Vi si accedeva con cautela, quasi in punta di piedi, come in certi luoghi dove senti che non sei solo. Una cripta che, a suo modo, custodiva l’anima del luogo.
Tutto attorno, la campagna emiliana. Odore di terra bagnata, calanchi in lontananza, e il suono delle cicale a interrompere un silenzio che da anni sembrava un richiamo inascoltato.
Un patrimonio lasciato a se stesso
A lungo la Pieve è rimasta chiusa, inaccessibile, senza un progetto di recupero, né una prospettiva concreta. Proprietà dell’Università di Bologna, la chiesa è rimasta ferma, immobile, fragile, mentre intorno il tempo continuava a passare.
Il Comune di Ozzano dell’Emilia, dopo il crollo, ha emesso un’ordinanza per interdire l’area e garantire la sicurezza. Il sindaco Luca Lelli, con rammarico, ha ammesso che il crollo era temuto da tempo. Ma perché si è aspettato così tanto? Perché un bene così prezioso è stato lasciato scivolare via nell’indifferenza?
Le domande restano sospese. Come certe pietre che, anche da terra, continuano a parlare.
Non era solo pietra
La Pieve di Pastino non era un rudere, e non lo è nemmeno ora. Era un frammento di paesaggio spirituale, un luogo in cui natura e storia convivevano in equilibrio. Forse non era famosa. Non compariva nelle guide turistiche. Ma era vera. Ed era lì, in attesa di essere ascoltata.
La sua rovina è un grido. Un grido contro l’abbandono di luoghi che non fanno notizia, che non portano folla, ma che hanno un valore culturale ed emotivo profondo. Luoghi che ci ricordano chi siamo. E da dove veniamo.
Si può ancora fare qualcosa?

Sì. Si può documentare ciò che resta, mettere in rete chi se ne prende cura, coinvolgere cittadini, scuole, studiosi. La bellezza non deve necessariamente coincidere con il restauro integrale. A volte basta custodire la rovina con rispetto, e dare al visitatore gli strumenti per comprenderla.
Forse è il momento di ripensare il nostro rapporto con i “luoghi minori”: quelli che non vendono biglietti, ma regalano emozioni. Quelli che, se li incontri per caso, ti restano dentro.
Una destinazione che non si dimentica
La Pieve di Pastino non è più come l’avremmo voluta. Ma è ancora lì. Ed è ancora visitabile, almeno con lo sguardo e con il pensiero. Se capiti da quelle parti, fermati. Resta in silenzio. Osserva. Quel che è crollato fuori, forse può ancora risorgere dentro di noi.
Noi di Destinazioni Sconosciute crediamo che ogni luogo abbandonato sia una domanda aperta. E ogni viaggio verso quei luoghi sia un atto di responsabilità e ascolto.
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