Dal 29 luglio all’1 novembre 2025, il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze apre le porte a una testimonianza rarissima e preziosa dell’arte giottesca: il cosiddetto Frammento Vaticano, unica sopravvivenza materiale del ciclo pittorico che Giotto realizzò nel cuore della cristianità medievale, l’antica Basilica di San Pietro.
Un Giotto romano (quasi) dimenticato
Chi pensa a Giotto immagina subito Assisi, Padova, Firenze. Eppure, nel primo quarto del Trecento, il pittore fiorentino fu chiamato anche a Roma, per decorare l’antica basilica vaticana. Quelle pitture, celebrate dalle fonti coeve, sono però andate quasi completamente perdute. Quasi, appunto. Del grandioso ciclo voluto dai papi per nobilitare le pareti di San Pietro, oggi resta solo un lacerto: una porzione murale staccata, inglobata in un letto di gesso, raffigurante due figure di santi.
Per secoli si è creduto fossero San Pietro e San Paolo, ma le ricerche più recenti mettono in dubbio l’identificazione. Eppure, al di là del nome dei soggetti, ciò che conta è la mano che li ha dipinti: Giotto, o quantomeno un artista della sua cerchia diretta, attivo sotto la sua guida.
Un’opera salvata dal tempo (e dalla storia)

Il frammento è sopravvissuto alla sistematica demolizione della vecchia basilica, iniziata nel Cinquecento per fare spazio al progetto rinascimentale di Bramante e Michelangelo. A salvarlo fu la devozione e la consapevolezza del suo valore artistico. Nel 1610, il canonico vaticano Pietro Strozzi lo donò a Matteo Caccini, membro di una delle più importanti famiglie fiorentine. Nel 1625 Caccini lo fece ornare ed esporre al culto, anche se resta incerto dove.
Questa storia lo lega ancora una volta a Firenze, non solo per la sua origine giottesca, ma per la protezione e valorizzazione che ricevette grazie al collezionismo fiorentino del Seicento.
Il restauro: pazienza, scienza e svelamento
L’Opificio delle Pietre Dure, istituzione d’eccellenza nel panorama mondiale del restauro, ha intrapreso tra il 2016 e il 2019 un delicatissimo intervento di recupero sul Frammento Vaticano. Prima le analisi diagnostiche, poi la rimozione delle numerose patine e ridipinture che, stratificate nei secoli, avevano alterato profondamente l’immagine originaria.
La pulitura ha rivelato dettagli pittorici di straordinaria finezza: campiture cromatiche smorzate ma ancora vibranti, ombre costruite con decisione, maestria nel modulare la luce sui panneggi e sui volti. Le indagini all’infrarosso hanno permesso di leggere la costruzione interna delle figure, restituendo la logica e la forza della composizione.
Non è stato solo un restauro tecnico, ma un vero e proprio recupero culturale: un’opera che sembrava perduta nella memoria, oggi è nuovamente leggibile, interpretabile, condivisibile.
Caring for Art: un ciclo che mostra il dietro le quinte del restauro

La mostra si inserisce all’interno del programma Caring for Art. Restauri in mostra, che l’Opificio dedica proprio al dialogo tra pubblico e restauro. Non si tratta semplicemente di “esporre” un’opera restaurata, ma di raccontarne il percorso, le sfide, le scoperte. Il Frammento Vaticano, in questo senso, è un caso esemplare: un’opera risorta non solo dal punto di vista materiale, ma anche simbolico.
Vedere quest’opera oggi, a Firenze, è come affacciarsi su un mondo perduto: quello di una Roma trecentesca che aveva scelto Giotto come voce visiva della propria spiritualità.
Un invito alla visita
Chi ama la storia dell’arte, chi vuole capire da vicino cosa significhi davvero “restaurare”, chi crede che dietro ogni opera ci sia una stratificazione di vite, mani e sguardi, troverà in questa esposizione un’occasione unica. Il Museo dell’Opificio, luogo meno battuto ma tra i più affascinanti di Firenze, accoglie un frammento che vale una basilica: piccolo nelle dimensioni, immenso nella storia.
E tu, sei mai stato all’Opificio delle Pietre Dure? Raccontaci la tua esperienza o vieni a scoprirla sul nostro Instagram: ti aspettiamo tra pietre, pigmenti e memoria.