Ci sono luoghi in Italia che sembrano rimasti fermi nel tempo, sospesi tra memoria e silenzio. Uno di questi è Roscigno Vecchia, in Campania, nel cuore del Cilento. Definito la “Pompei del Novecento”, questo borgo abbandonato custodisce una storia particolare: non catastrofi improvvise, non guerre devastanti, ma un lento scivolare della terra che ha costretto gli abitanti a lasciare le proprie case. Oggi è un museo a cielo aperto, un luogo che parla di resilienza e di identità, dove le pietre raccontano più delle parole.
Le origini di Roscigno
Il paese nasce in epoca medievale come piccolo centro agricolo. Per secoli la comunità è cresciuta intorno alla piazza centrale, alla chiesa di San Nicola di Bari e alle case in pietra che si arrampicano sul pendio. La vita era scandita dal ritmo delle stagioni e dal lavoro nei campi, con un forte senso di comunità.
Ma a partire dalla fine dell’Ottocento iniziarono a manifestarsi i primi segnali di instabilità del terreno. Le frane, seppur non improvvise, resero insicura l’area, e progressivamente l’abitato cominciò a spopolarsi.
Lo spostamento a valle

Negli anni ’20 del Novecento le autorità presero una decisione drastica: costruire un nuovo paese, Roscigno Nuova, più a valle e lontano dai rischi geologici. Gli abitanti furono trasferiti, portando con sé ricordi, abitudini e speranze. Roscigno Vecchia rimase così vuota, abbandonata ma non dimenticata.
Col tempo, il borgo divenne un raro esempio di paese cristallizzato, dove le strutture sono rimaste intatte come se fossero state congelate nel momento esatto dell’abbandono. Camminare oggi tra le sue strade significa osservare un frammento autentico di storia sociale del Sud Italia.
La vita che resisteva
Nonostante lo spopolamento, Roscigno Vecchia non fu mai del tutto deserta. Per anni alcuni abitanti hanno continuato a viverci, sfidando le difficoltà e scegliendo di restare tra le pietre del borgo antico. Tra le figure più note c’è Giuseppe Spagnuolo, conosciuto come “l’ultimo abitante di Roscigno Vecchia”.
Conosciuto dai visitatori e dagli studiosi, Giuseppe accoglieva chi arrivava con racconti e memorie, trasformandosi in custode vivente del paese. Grazie a lui e a pochi altri, il borgo non è mai stato solo un ammasso di ruderi, ma un luogo ancora abitato da storie e voci.
Roscigno oggi: un museo a cielo aperto

Oggi Roscigno Vecchia è inserita nel Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, riconosciuto patrimonio dell’UNESCO. È considerata una testimonianza unica di architettura rurale e di urbanistica contadina del primo Novecento.
Passeggiando tra le sue vie, il visitatore incontra la piazza con la chiesa, i palazzi nobiliari ormai spogli, le case dei contadini, le stalle e i granai. Tutto è rimasto come allora, solo segnato dal tempo.
Il borgo è aperto ai visitatori ed è diventato un laboratorio culturale a cielo aperto, con iniziative che spaziano da mostre a rassegne teatrali, sempre nel rispetto del contesto originale.
Il fascino dei luoghi fantasma
Roscigno Vecchia appartiene alla stessa categoria di altri borghi fantasma italiani, ma ha una peculiarità che lo rende diverso: la sua integrità. Non è un cumulo di rovine, non è un sito parzialmente ricostruito, ma un paese che sembra addormentato.
La definizione di “Pompei del Novecento” non è casuale: così come Pompei ci restituisce l’istantanea di una città romana, Roscigno mostra la fotografia autentica della vita contadina meridionale tra Ottocento e Novecento.
Turismo lento e memoria
Il borgo non è solo meta di turisti curiosi, ma anche di antropologi, storici e fotografi. Ogni angolo racconta di un’Italia che non c’è più, fatta di relazioni di vicinato, di economie di sussistenza, di riti religiosi e sociali che si svolgevano nella piazza del paese.
La visita a Roscigno Vecchia diventa così un’esperienza di turismo lento, dove non si corre da un monumento all’altro, ma si cammina ascoltando i silenzi e osservando i dettagli.
Tra leggende e suggestioni

Come accade in molti paesi abbandonati, anche qui non mancano racconti e suggestioni. Alcuni visitatori parlano di presenze, di ombre percepite dietro le finestre, di un’energia particolare che pervade il borgo. Non si tratta di storie documentate, ma di suggestioni che nascono spontanee in luoghi dove la vita si è interrotta bruscamente.
Eppure il vero mistero di Roscigno Vecchia non sono i fantasmi, ma la sua stessa resistenza al tempo: un paese che, pur vuoto, continua a parlare e a insegnare.
Un patrimonio da valorizzare
Oggi Roscigno Vecchia è protetta e valorizzata, ma resta fragile. Le pietre hanno bisogno di manutenzione, i visitatori vanno accolti e guidati con cura, la memoria deve essere preservata.
In un’epoca in cui tanti borghi rischiano di sparire, il caso di Roscigno invita a riflettere su cosa significhi conservare non solo i muri, ma anche le storie che li hanno abitati.
Perché visitare Roscigno Vecchia
Una visita a Roscigno non è un’escursione qualunque. È un viaggio nella memoria, nella cultura contadina e nella storia recente del nostro Paese. Significa comprendere come i luoghi parlino attraverso i segni dell’abbandono, e come il passato possa restare presente anche senza abitanti.
È un’esperienza che tocca corde profonde, tra malinconia e meraviglia, e che lascia al visitatore la sensazione di aver dialogato con un’Italia che resiste nei silenzi delle pietre.
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