Nel mezzo del deserto più vasto del pianeta, dove la sabbia disegna orizzonti infiniti e il silenzio ha il peso della pietra, si apre una forma che sfida ogni simmetria naturale. La chiamano Richat Structure, ma è nota al mondo come Occhio del Sahara. Un’enorme spirale geologica visibile dallo spazio, che ancora oggi confonde chi cerca una spiegazione unica per la sua origine.
Ci troviamo in Mauritania, ai margini dell’altopiano dell’Adrar. In una regione dove le strade non esistono e il paesaggio sembra immobile da secoli, appare questo gigantesco cerchio concentricamente eroso, ampio quasi 50 chilometri. Da terra è difficile coglierne la forma. Ma dal cielo, l’effetto è netto: una spirale che sembra disegnata da un architetto primordiale, un occhio che osserva in silenzio.
Un enigma geologico a forma di spirale

Per anni si è creduto che la Richat fosse il risultato dell’impatto di un meteorite. D’altronde, la forma circolare e la posizione isolata sembrano confermare l’ipotesi. Ma gli studi geologici hanno smentito questa teoria: nessuna traccia di minerali da impatto, nessuna deformazione da collisione.
L’Occhio del Sahara è in realtà una struttura geologica chiamata “domo”: una cupola di strati rocciosi sollevati dall’interno della crosta terrestre, poi erosi nel tempo da pioggia, vento e sole. Gli anelli che vediamo sono strati sedimentari antichissimi, alcuni risalenti a più di 500 milioni di anni fa. Il centro della struttura è più resistente, mentre gli strati più esterni si sono consumati lentamente, creando l’effetto visivo di una spirale.
A rendere ancora più affascinante il tutto è la palette cromatica: toni gialli, ocra, rossi, grigi e neri, alternati in sequenze che ricordano le sezioni concentriche di un fossile, o i vortici di una galassia.
Un occhio visibile dallo spazio

La Richat Structure è talmente vasta che può essere riconosciuta a occhio nudo dagli astronauti in orbita. Nei primi voli spaziali, fu utilizzata come punto di riferimento visivo per localizzare il centro dell’Africa nord-occidentale. Ancora oggi, è uno dei soggetti preferiti dalle immagini satellitari della NASA e dagli osservatori della Terra.
Questa visibilità “dall’alto” ha alimentato interpretazioni mitologiche e pseudoscientifiche. Alcuni scrittori hanno ipotizzato che l’Occhio del Sahara sia in realtà l’antica Atlantide descritta da Platone, trasportata nel deserto da eventi geologici o spostamenti catastrofici. La teoria è affascinante, ma priva di basi archeologiche. Tuttavia, l’idea che una forma così armoniosa e inspiegabile possa essere frutto di qualcosa di più che natura e tempo continua a sedurre.
Un luogo inaccessibile, ma reale
Visitare la Richat Structure non è semplice. Si trova a circa 40 chilometri da Ouadane, una delle città-oasi più remote della Mauritania, patrimonio UNESCO. Per arrivarci servono mezzi fuoristrada, guide locali esperte e spirito d’adattamento. Il deserto non concede leggerezza. Non ci sono punti panoramici attrezzati né percorsi turistici. Si cammina sulla roccia, si dorme in tenda, si viaggia dentro il tempo geologico.
Chi l’ha vista da vicino racconta di un paesaggio irreale, dove la Terra sembra mostrare la propria memoria interna, i suoi cicli nascosti, le sue strutture più profonde. E dove l’occhio, paradossalmente, non può cogliere l’interezza del luogo che ha davanti. Per farlo, bisogna allontanarsi. Guardare dall’alto. O fidarsi del disegno invisibile della natura.
L’arte della Terra, senza intenzione

La Richat Structure non è solo una curiosità scientifica. È anche una forma estetica nata senza intenzione artistica. Eppure, chi guarda una sua foto satellitare fatica a non pensare alla grafica, al disegno, al simbolo. È la natura che si fa forma. Una geografia che parla con il linguaggio dell’arte.
In questo senso, l’Occhio del Sahara entra a pieno titolo tra le destinazioni sconosciute che invitano alla contemplazione e al dubbio. Non è un luogo che si attraversa per collezionare immagini, ma un’esperienza che cambia la percezione del tempo, dello spazio, dell’origine.
Qui non ci sono rovine da decifrare né racconti scolpiti nella pietra. Solo linee, cerchi, curve, in un ordine che non abbiamo deciso e che non sappiamo del tutto spiegare. È questo il suo potere.
Perché parlarne oggi
In un’epoca in cui i confini del mondo sembrano noti, e la geografia appare definitivamente addomesticata, luoghi come la Richat Structure sfidano la nostra idea di controllo e comprensione. Ci ricordano che esistono spazi non addomesticabili, dove il mistero resiste. Dove il senso si crea nel rapporto tra ciò che vediamo e ciò che non capiamo.
L’Occhio del Sahara continua a guardarci. Immobile, ma vivo. Come un promemoria scolpito nella roccia: la Terra è più antica di noi, e sa cose che non sapremo mai.
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