Alle ore 14:00 del 14 novembre 2001, l’Alleanza del Nord avanzò da sud e da ovest occupando la base militare principale della città e l’aeroporto, costringendo i talebani alla ritirata verso la città. Nel giro di sole quattro ore la battaglia era conclusa, i talebani si ritirarono verso sud e verso est e Mazar-i Sharif venne conquistata.
Il giorno dopo la città venne data al saccheggio, i miliziani dell’Alleanza del Nord che perlustravano la città in cerca di bottino, fucilarono seduta stante numerose persone sospettate essere simpatizzanti dei talebane. All’interno di una scuola venne scoperto un rifugio di circa cinquecento venti talebani provati dai combattimenti, la maggior parte provenienti dal Pakistan.
Vennero tutti giustiziati e, sempre lo stesso giorno, l’Alleanza avanzò rapidamente in direzione nord. La caduta di Mazar-i Sharif aveva portato alla resa diverse posizioni talebane. Molti comandanti talebani decisero di cambiare fazione piuttosto che morire. Molte delle loro truppe di prima linea erano state aggirate e circondate nella città settentrionale di Kunduz, dato che l’Alleanza del Nord li aveva superati puntando a sud.
Anche nel sud la loro tenuta apparve compromessa, la polizia religiosa interruppe i propri regolari pattugliamenti e si prevedeva che il regime sarebbe collassato nel giro di poco tempo.
Nella notte del 12 novembre 2001 le forze talebane, col favore dell’oscurità, abbandonarono Kabul. L’esercito dell’Alleanza giunse presso la città nel pomeriggio successivo trovando una resistenza di circa una ventina di soldati, nascosti nel parco cittadino.
Ora, anche Kabul era in mano alleata. Nel giro di ventiquattro ore dalla caduta di Kabul, vennero prese tutte le province lungo il confine iraniano, tra cui anche la città di Herat. I comandanti pashtun locali e gli alleati controllavano ormai il nord-ovest del paese, inclusa Jalalabad. Quel che restava dell’esercito talebano e dei volontari pakistani si ritirò a nord, verso Konduz, e a sud-est, verso Kandahar, per preparare una difesa a oltranza.
Circa duemila membri di al-Qāʿida e dei talebani, si raggrupparono nelle caverne delle montagne di Tora Bora, 50 chilometri a sud-ovest di Jalalabad. Il 16 novembre 2001 l’aviazione statunitense iniziò a bombardare la zona, mentre la CIA e le forze speciali reclutarono alcuni capi tribali locali che avrebbero partecipato a un imminente attacco nelle caverne.
Le problematiche e le divisioni, 14 novembre
La politica con le sue scusanti o motivazioni, qualsivoglia chiamarle, fallite le trattative tra governo statunitense e talebani, domenica 7 ottobre 2001, circa alle ore 20:45 afghane, 16:15 italiane, le forze armate statunitensi e britanniche iniziarono un bombardamento aereo sull’Afghanistan, con l’obiettivo di colpire le forze talebane e di al-Qāʿida.
Il mese dopo, il 14 novembre, l’Alleanza del Nord avanzò per cacciare via i talebani. Questi ultimi erano uomini composti in prevalenza da tagiki e uzbeki (le etnie a cui appartenevano rispettivamente Massoud e Dostum) ma anche da sciiti di etnia hazara inquadrati nella milizia Hezb-i wahdat e da sunniti di etnia pashtun, unitisi per cacciare via i talebani.
Le truppe americane, invece, andarono per la prima volta in Afghanistan con la scusa di combattere a fianco delle tribù afgane che cercavano di cacciare il governo talebano che ospitava al-Qaeda.
L’Afghanistan è un cuore importante per il crocevia tra Oriente e Occidente, collocata al centro dell’Asia centrale. Sin dall’Ottocento è stata al centro degli interessi geostrategici delle grandi potenze. Alla posizione geografica e alle pesanti influenze esterne, si aggiunge l’estrema frammentazione etnica del paese. Proprio quest’ultima ha compromesso le capacità del governo centrale di controllare il territorio nazionale e ha ostacolato la formazione di un apparato amministrativo omogeneo ed efficiente.
Venne prima conteso tra Impero coloniale britannico e Impero russo, poi durante la Guerra fredda. L’Afghanistan subì l’invasione sovietica, la quale ha scatenò una prolungata guerra di resistenza (1979-89). Il ritiro dell’Unione Sovietica ha coinciso con lo scoppio di una guerra civile, conclusasi solo in parte con l’avvento al potere dei talebani nel 1996.
Il regime dei talebani, guidato dal mullah Mohammed Omar e caratterizzato dall’imposizione di regole sociali fortemente repressive e derivate da una male interpretazione dei testi islamici, si è scontrato con la resistenza guidata dal Fronte islamico unito con, appunto, l’Alleanza Nord, per la salvezza e la liberazione del paese. Alla sua guida c’era Ahmad Shah Massoud, assassinato il 9 settembre 2001.
In risposta agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, il regime è stato rovesciato con l’ausilio dell’intervento militare statunitense (operazione Enduring Freedom). La rete terroristica di al-Qāʿida, responsabile degli attentati, aveva il suo quartier generale proprio in Afghanistan, godendo dell’appoggio e della protezione dei talebani.
Deposto il regime talebano, con l’Accordo di Bonn del 2001, la comunità internazionale ha avviato un processo di stabilizzazione del paese per promuovere le istituzioni democratiche, ricostruire le infrastrutture, l’economia e stabilire condizioni di sicurezza necessarie alla normalizzazione del paese.
Tra il 2004 e 2005 le truppe internazionali hanno dovuto affrontare un movimento insurrezionale sempre più organizzato e violento sempre guidato dai talebani. Parte di essi si sono ritirati nelle zone tribali a maggioranza etnica pashtun del Pakistan (le Fata acronimo inglese di Aree tribali amministrate dal governo federale), da dove hanno riorganizzato la resistenza.
Altri gruppi di talebani si sono concentrati nelle province meridionali dell’Afghanistan, nelle storiche roccaforti talebane (come Kandahar), non abbandonando mai il paese e hanno e continuando contrastare la presenza internazionale.
Dieci anni dopo a oggi
Nel maggio del 2014 il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, annunciò che circa 9.800 truppe statunitensi sarebbero rimaste nel paese fino al 2015; il numero delle unità statunitensi era destinato a diminuire progressivamente fino a lasciare solo una unità destinata alla protezione dell’ambasciata statunitense e alcune unità incaricate di fornire assistenza nel campo della sicurezza al governo afghano.
A oltre dieci anni dall’inizio dell’intervento internazionale, infatti, l’apparato statale si presentava ancora molto debole, il governo di Kabul faticava a esercitare la sua azione politica su tutto il territorio nazionale (in particolare sulle province meridionali e orientali, a forte presenza talebana) e le condizioni di sicurezza sono sempre rimaste precarie.
Nel complesso permanevano forti fratture tra il governo centrale e le potenti figure tribali locali, a tutto questo si sommava un grado di corruzione fra i più alti al mondo (secondo l’indice di corruzione percepita 2013 di Transparency International, l’Afghanistan è al 175 posto su 177 paesi), che riguardava tanto il governo centrale quanto i livelli amministrativi più bassi.
A livello internazionale, tra gli interlocutori principali del governo afghano, vi sono gli Stati Uniti e i vicini regionali come Pakistan, India, Iran. I rapporti con gli USA sono andati a deteriorati: il presidente Karzai aveva spesso espresso il suo risentimento di fronte alle accuse di corruzione mossegli da Washington.
Karzai, inoltre, non aveva gradito le reiterate richieste statunitensi di aprire un dialogo con i talebani. In sospeso tra i due paesi fino all’installazione di un nuovo presidente vi fu anche la firma di un accordo bilaterale di sicurezza che definiva il ruolo degli Stati Uniti in Afghanistan dopo il ritiro del 2014.
l’Iran temeva la recrudescenza del conflitto interno in Afghanistan e il possibile ritorno al potere dei talebani, che avrebbe portato a un nuovo flusso di profughi e costretto Teheran a fare i conti ancora una volta con un regime integralista sunnita alle porte. Anche il destino delle relazioni con l’India sembrava dipendere dalla tenuta del governo afghano nell’era post-Karzai.
Il ritorno dei talebani
Il 15 agosto 2021 i Talebani tornavano al potere in Afghanistan, prima dell’agosto 2021 l’Afghanistan era già in preda a una crisi umanitaria. Da allora, una combinazione di fattori hanno peggiorato la situazione nel Paese. Facciamo chiarezza su cosa stia succedendo oggi in Afghanistan, partendo dall’inizio del conflitto nel 1979 e spiegando le conseguenze della crisi economica e alimentare, e l’attuale situazione di donne e ragazze.
In Afghanistan, la crisi economica, la fame, le inondazioni e le siccità consecutive, gli sfollamenti e gli ultimi terremoti hanno sconvolto la vita di bambini e famiglie in tutto il Paese.
L’ultimo conflitto della Guerra fredda avvenne tra il 1979 ed il 1989 in territorio afghano. Nel dicembre del 1979 ebbe inizio l’invasione sovietica dell’Afghanistan, un’occupazione militare destinata a durare quasi dieci anni. Una volta ritirate le truppe sovietiche, i conflitti interni si riaccesero, generando un clima instabile che favorì l’ascesa del movimento talebano alla guida del paese.
La popolazione in Afghanistan ha affrontato diverse crisi: dopo 40 anni di guerra un forte declino economico non deve stupirci, l’aumento della povertà, la crescita dei prezzi dei generi alimentari e di altri beni di prima necessità e catastrofi naturali ricorrenti l’hanno piegata sempre di più.
Nel 2021 la popolazione afghana ha dovuto affrontare l’intensificarsi del conflitto, il ritiro delle forze internazionali e poi, in agosto, la presa di potere del Paese da parte dei Talebani.
La situazione oggi in Afghanistan vede bambine e bambini affrontare una moltitudine di crisi che continuano a minacciare i loro diritti e il loro futuro. I continui effetti della siccità, dello sfollamento e della mancanza di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari rendono i bambini afghani sempre più vulnerabili alle malattie e alla malnutrizione.
Donne e bambini in Afghanistan costituiscono la maggioranza della popolazione sfollata, rendendole più esposte al rischio di sfruttamento e abuso. Dall’agosto 2023, la situazione delle donne in Afghanistan vede i nuclei familiari con a capo una donna affrontare tassi più elevati di insicurezza alimentare e di lavoro minorile rispetto ai nuclei familiari con a capo un uomo.