Alle 22:39 della sera del 9 ottobre 1963, un blocco di 270 milioni di metri cubi di roccia franò dal pendio del Monte Toc nella diga del Vajont, a una velocità di 100 km/h. L’onda di 50 milioni di metri cubi provocata dalla frana si divide in due direzioni. Investe da una parte i villaggi di Frasein, San Marno, la riva delle Spesse, Pineda, Liron e Prada. Dall’altra parte, superando la diga, raggiunge Longarone, con le frazioni di Pirago, Villanova, Faè, Rivalta, e Castellavazzo nelle frazioni di Vajont e Codissago, per poi defluire lungo il Piave.. L’onda provoca la morte di 1910 persone, pochissimi i feriti. In tua la zona l’unica opera umana che resiste, senza danni, all’onda è la diga di Carlo Semenza sul torrente Vajont.
Le vicende processuali
Parallelamente alla ricostruzione, si aprirono anche le indagini per accertare le cause della tragedia. Condotte dalla magistratura di Belluno, le indagini si conclusero nel febbraio 1968, evidenziando che la tragedia era stata aggravata dalla negligenza umana, poiché, sebbene la diga fosse stata progettata secondo le più moderne competenze tecniche, non erano state prese in considerazione importanti relazioni geologiche.
Nel 1971 iniziarono anche le cause civili promosse dai Comuni colpiti dal disastro. Al termine dei procedimenti, lo Stato e gli eredi di SADE (Enel e Montedison), furono riconosciuti come corresponsabili e furono condannati a risarcire i comuni danneggiati per un totale di 900 miliardi di lire, da corrispondere in parti uguali. I risarcimenti erano volti a compensare la distruzione di edifici e opere pubbliche, le sofferenze subite dalla popolazione, i danni all’ambiente e alle proprietà comunali, oltre che la perdita d’identità delle comunità. Subito dopo il disastro, ENEL aveva offerto un risarcimento di 10 miliardi di lire ai superstiti, a condizione che rinunciassero a costituirsi parte civile nel processo. Molti accettarono e decisero di non procedere per vie legali.
Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi.” – Dino Buzzati