Achille Lauro, l’artista romano, sempre eccentrico e stravagante, stavolta ha colpito il blasonato e ingessato pubblico del Festival di Sanremo. Colpito e affondato!
La prima serata, il 4 febbraio scorso, Achille si è presentato coperto da un mantello di velluto nero, tutto ricamato da filo d’oro firmato Gucci. Era a piedi nudi il nostro artista folle. Poi, sotto lo stupore del pubblico del teatro Ariston, si è tolto il mantello e con gesto eclatante è rimasto sotto i riflettori con una tutina luccicante color carne. Ecco che subito chi ha confezionato materialmente la mise tanto chiaccherata si è fatto avanti: è un’azienda che si trova a Nardò di Barbetta, provincia di Lecce. Insomma, è made in Salento!
E’ il caso di chiedersi: è stato solo un gesto per dare spettacolo? E’ da annoverare negli innumerevoli comportamenti dei cantanti per stupire il pubblico? Pare proprio di no. Qui viene il bello. L’artista ha voluto riprodurre il quadro di Giotto (per la precisione la quinta delle 28 scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi), che racconta la spoliazione di ogni bene materiale di San Francesco d’Assisi, per dedicarsi alla vita religiosa e al sacrificio spirituale. Come? Eh sì, Achille, come ha egli stesso affermato su Instangram, ha voluto contestare il materialismo, il lusso sfrenato, lo sfoggio delle ricchezze che accomuna l’uomo contemporaneo. E’ una dichiarazione di guerra verso chi non ha altro da dare che i propri averi. Un atto di accusa forte e chiaro, mi viene da commentare.
Non è finita qui. Il cantante si è sfogato in certe dichiarazioni in cui ha ricordato le proprie orribili esperienze in certi ambienti, permeati di machismo, omofobia, misoginia e di un’ignoranza spiazzante. Egli stesso definisce squallidi e disgustosi anche gli ambienti del trap, in cui si denigra tutto ciò che è femminilità, si usano termini volgari nei confronti della donna e si porta in auge la prevaricazione e che sfigura ciò che è reputato “troppo da femmina”. Senza saperlo (o forse sì?), Achille Lauro si è schierato dalla parte della campagna portata avanti da tutto il Festival contro la violenza sulle donne, contro gli stereotipi di genere, contro i pregiudizi, contro un’ipocrisia di fondo ammantata di perbenismo, di cui si macchia la società moderna. Moderna e ancora profondamente incivile, aggiungerei.
Un Renato Zero di oggi, azzardo? Premesso che sono una fan di Zero, me ne guardo bene dal paragonarlo a chiunque, ma credo che l’intento da parte di Lauro ci sia o forse no? Nel testo “Me ne frego” afferma di fregarsene del giudizio altrui: “Prenditi gioco di me, io me ne frego”, una sorta di dichiarazione di libertà dal peso dei giudizi altrui. E chi più delle donne, che spesso sono giudicate solamente per il loro aspetto fisico, per come si vestono, per come amano, per come fanno le mamme, per come sono sul lavoro, per quello che dicono o non dicono, dovrebbero dire: “Me ne frego”?
Me ne frego dei pregiudizi, mi vesto come voglio, posso truccarmi, vestirmi di glitter e lurex, perchè la femminilità, per Achille, è delicatezza, candore, genuinità, contro un mondo violento e prevaricante: «Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina. Tutto qui? Io voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore. Ogni tanto qualcuno mi dice: ma che ti è successo? Io rispondo che sono diventato una signorina».
Aldilà dei gusti personali, la musica ha sempre veicolato messaggi forti, portando avanti ideologie, stili di vita, modi di pensiero, mentalità. I testi delle canzoni di ogni generazione hanno diffuso il pensiero di quell’epoca. Non mi stupisce che questo gesto abbia colpito: è ciò che doveva accadere. A volte, per smuovere l’immobilismo mentale e retrogrado della società, si deve sconvolgere. Il cambiamento è crisi: cioè mettere in discussione lo status quo,la comodità della quotidianità e dell’abitudine.
L’essere umano cambia solo se pungolato, altrimenti resta in uno stato di comfort, in cui vive, senza consapevolezza.