Il mattino si stava facendo largo tra l’oscurità della notte quando il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa (vero Benigni?) arrivarono ad Auschwitz. Quello che apparve davanti agli occhi dei soldati furono scene apocalittiche, uomini, donne e bambini che non avevano niente più di umano, scheletri che camminavano con le poche forze che gli erano rimaste. I tedeschi erano fuggiti portando con sè i deportati che potevano muoversi in una di quelle che poi vennero chiamate “marce della morte“, ovvero il trasferimento da un campo polacco a uno tedesco per cercare di nascondere quanto fatto. Da Auschwitz ne furono trasferiti 80.000 in un percorso che, a causa delle precarie condizioni di salute dei deportati, consegnò alla morte altre 15.000 persone. Fu un vero e proprio genocidio, milioni di persone erano state deportate solo perchè ebree, zingare, omosessuali, dissidenti o disabili, si parla di oltre 6 milioni di morti solo tra gli appartenenti alla comunità ebraica. Quando il generale Eisenhower giunse nei campi di sterminio ordinò ai propri uomini: “Registrate ora tutte le prove, film, testimoni, perché lungo la strada della storia qualche bastardo si alzerà e dirà che queste cose non sono mai accadute.” Per evitare che quanto accaduto cadesse nell’oblio è stato istituito il Giorno della memoria e scelta come data simbolica proprio il 27 gennaio. In questa giornata si susseguono in tutto il mondo una serie di eventi perchè la memoria di quanto successo non venga perduta con la scomparsa degli ultimi sopravvissuti.
Arte nella Shoah, la memoria attraverso i quadri
La mostra itinerante, curata dall’istituto Yad Vashem di Gerusalemme, rientra tra le celebrazioni indette dal Comune di Milano per la Giornata della Memoria. Presso i gate di imbarco di Linate e il Photo square posto nell’atrio della stazione ferroviaria del terminal uno di Malpensa, fino al 7 febbraio prossimo, i viaggiatori in transito potranno ammirare le opere di 20 artisti create tra il 1939 e il 1945 quando la persecuzione ebraica diventò una vera e propria volontà di stermino di un popolo. Di quelle 20 persone la metà non sopravvisse, ma i loro quadri sono rimasti a testimoniare l’orrore. Dipingere in quei momenti era per quegli artisti un modo per lasciare un ricordo alle nuove generazioni insieme a un messaggio di speranza in totale contrasto con quei nazisti che volevano annientarli come persone.
Le condizioni di vita a quei tempi erano difficilissime, trovare materiale per dipingere era molto complicato oltre che rischioso e questo fece sì che gli artisti si ingegnassero per poter creare. Riuscire a portare a termine un quadro voleva dire riaffermare la propria individualità e il forte desiderio di vivere. Pur essendo molto diversi tra loro, questi quadri hanno tutti un filo condutore che li lega, il non arrendersi all’orrore che stavano vivendo. Ad accompagnare i quadri esposti, c’è un video che mostra i disegni di Aldo Gay, pittore romano che visse in prima persona il rastrellamento degli ebrei del ghetto di Roma avvenuto il 16 ottobre 1943 e che ha lasciato a testimonianza di quegli anni tutta una serie di schizzi e disegni a carboncino, china e olio, in doppia veste di vittima e artista, senza che nessuna delle due prevalesse sull’altra.
Oggigiorno sembra stia avvenendo quanto profetizzato da Eisenhower, quindi è più che mai necessario mantenere vive queste testimonianze anche attraverso l’arte, perché, come diceva Primo Levi: “L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria.”