Banksy, non poteva rimanere indifferente di fronte alla tragica vicenda di Floyd. Dopo un periodo di silenzio, durante il quale afferma di aver ascoltato le motivazioni del gruppo Black lives matter, ha pubblicato il 6 giugno un post sul suo profilo Instagram. Nella prima foto è presente un dettaglio, nella seconda l’opera intera e infine la sua testimonianza. Il primo dettaglio che si trova in basso, rappresenta un’immagine stilizzata e senza lineamenti di Floyd, uno dei più recenti afroamericani privato della sua identità. Una candela lo celebra, ma allo stesso tempo brucia la bandiera americana.
“Le persone di colore vengono ignorate dal sistema. Il sistema bianco. Come una tubatura rotta che allaga l’appartamento di sotto. Il sistema rotto rende la loro vita miserabile, ma ripararlo non è compito loro. Non possono, perché nessuno li farà entrare nell’appartamento al piano superiore. È un problema bianco. E se i bianchi non lo riparano, qualcuno verrà al piano di sopra e sfonderà la porta”.
Questo è quanto dichiara Banksy nel già citato post di Instagram. Quelle bandiera americana che brucia, rappresenta infatti tutte le falle di un sistema che ha subito un’involuzione, che da secoli nasconde una povertà che “urla in silenzio” il suo dolore. L’insicurezza di un popolo che ha rifiutato le riforme di Obama e che ha votato Trump, il quale, non solo ha smantellato la riforma sanitaria del predecessore, ma ha innalzato una politica di muri, dazi e odio.
Banksy parla del “tubo rotto” di un sistema che produce vittime e aumenta la violenza.
Il Coronavirus, come la peste ne Il teatro e il suo doppio di Artaud, ha smascherato le grandi contraddizioni di questo popolo. Il nero è tornato ad essere il capro espiatorio, o meglio l’odio razziale non si è mai estinto e continua ad essere istituzionalizzato attraverso gli abusi di potere delle forze dell’ordine. Floyd a Minneapolis è stata l’ennesima vittima dopo Ahmand Arbery, 25 anni in Georgia e Brionna Taylor, 26 anni in Kentucky.
In Italia Jorit ha invece rappresentato con grande precisione e realismo il volto di Floyd, insieme agli altri volti che hanno lottato per l’uguaglianza, per i diritti degli afro-americani e delle altre minoranze. Lenin, Marthin Luther King, Malcolm x, Angela Davis. Delle identità ben definite in questo caso, che hanno contribuito a comporre e a salvaguardare il “melting pot dell’umanità” che rischia di essere cancellato, come sottolinea invece Banksy poichè il problema è del bianco che non sa riconoscere e valorizzare le differenze.
Dal volto senza identità raffigurato da Banksy si evince anche un grave processo di indifferenza e negazione dell’umanità. Basti pensare al modo in cui è avvenuto l’omicidio, le cui immagini sono diventate virali.
George Floyd e l’agente Derek Chauvin
Cancellare le singole identità sta portando alla distruzione di una Nazione: Se i bianchi non riparano il “Tubo rotto”, “Qualcuno verrà al piano di sopra e sfonderà la porta”
Banksy esprime quindi solidarietà al movimento Black lives matter che venne fondato nel 2013 da Alicia Garza, all’interno della comunità afroamericana come forma di protesta contro le violenze perpetrate dalla polizia sugli afroamericani. Quando nello stesso anno venne assolto il poliziotto George Zimmerman, che il 26 febbraio 2012 aveva sparato al diciassettenne Travyon Martin, cominciò a diffondersi sui social l’ashtag #Blacklivesmatter, che diede così origine al movimento.
Il gruppo nel suo complesso è decentralizzato e non possiede una gerarchia formale. Dal 25 maggio, giorno della morte di George Floyd, il movimento è di nuovo sceso in piazza e la protesta si è estesa in tutto il mondo.
Banksy e il “problema bianco”
Una metafora calzante quella di Banksy poichè, l’uccisione di George Floyd, in un contesto in cui il Coronavirus ha messo in ginocchio l’economia statunitense e mondiale, ma soprattutto le minoranze etniche che sono rimaste disoccupate e non possono accedere alle cure, ha scoperchiato il vaso di Pandora di quell’atavico odio razziale, un cancro mai totalmente estirpato dalla mentalità statunitense.
A sostegno di questa tesi che Banksy definisce “un problema bianco”, “Il Riformista” ha riportato il punto di vista della make up artist afroamericana Aliesh Pierce che a proposito della morte di George Floyd afferma:
“L’immagine del poliziotto che spinge il ginocchio sul collo di George Floyd mi ha ricordato l’epoca in cui vigevano le leggi Jim Crow, quando eravamo linciati solo per il fatto di stare camminando in strada, così solo per gioco”.
Le Leggi Jim Crow furono infatti in vigore negli Stati Uniti dal 1876 al 1964. Anche se fu abolita la schiavitù degli afroamericani, i neri continuavano ad essere considerati inferiori. Ovunque vigeva il motto “Separati ma uguali” e vennero introdotti in maniera arbitraria il coprifuoco e il linciaggio per futili motivi.
L’elezione del Presidente Obama non ha migliorato la situazione : “Quelli di oggi sono i nipoti dei razzisti di un tempo. Finchè non troveremo un modo per unirci sarà sempre così. Però una speranza c’è: vedo più gente di colore nella polizia e in posti governo. Dobbiamo cambiare le cose da dentro, cercando di trovare pace con la vecchia mentalità” afferma Aliesh Pierce.
Il fatto che molti artisti e molti paesi abbiano manifestato la propria solidarietà e che i membri del Partito Repubblicano stiano prendendo le distanze dalla politica di Trump costituiscono flebili segnali di speranza. La spersonalizzazione dell’individuo e l’indifferenza guardano l’interlocutore attraverso il volto senza identità di Banksy per colpire allo stomaco e spingere a combattere ogni forma di razzismo e violenza.