Borromini architetto ticinese che trovò affermazione professionale nella Roma barocca del 1600.
Con Bernini è stato uno dei maggiori interpreti del barocco italiano. I suoi natali in terra svizzera favorirono da subito il suo impiego professionale a Milano, nella corte dei Visconti; esperienza che lo formò in modo esemplare poiché si cimentò, con impegno fisico ragguardevole, nel ruolo di scalpellino ed intagliatore di marmi nella fabbrica del Duomo.
Ma ben presto Milano, sia pur nel suo fermento culturale divenne piccola per il temperamento del Borromini, ormai pronto ad esprimere, in maniera indipendente, le sue rivoluzionarie idee che da sempre covava dentro di sé.
E’ a Roma che Borromini trova la sua meritata affermazione professionale
Arrivò quindi nel 1620 a Roma che in quel momento viveva l’apice della cultura barocca con il suo favorire una nuova concezione degli spazi, con l’ausilio di un‘architettura più dinamica rispetto agli esempi precedenti, ricorrendo ad una teatralità quasi partecipata delle forme, attraverso anche un uso consapevole e suggestivo della luce, elemento esterno ma incastonato di fatto nell’opera architettonica nel suo insieme.
Ed è in questo clima che Borromini incontra per la prima volta Gianlorenzo Bernini con il quale, dopo un primo momento di cordiale collaborazione, nascerà, forse troppo romanzata, una rivalità che non vedrà mai tra i due la parola fine.
Entrambi supportati da un carattere deciso, benché coetanei, all’arrivo a Roma di Francesco Borromini, il Bernini si trova già a vivere nell’agiatezza del riconoscimento professionale, avendo già portato a termine importanti opere sotto la protezione politica del Papa.
Ma arriva il momento anche per Borromini, quando con l’ascesa al trono pontificio di Papa Innocenzo X, diventerà architetto prediletto del pontefice che per la prima volta lo preferita al rivale Bernini.
Sono di questo periodo le commissioni per la ristrutturazione della basilica di San Giovanni in Laterano, il rifacimento della facciata della chiesa di Sant’Agnese a Piazza Navona, per la quale Borromini pensa ad una facciata innovativa che vada ad interrompere la linea retta continua della piazza, fornendo alla chiesa un’insolita per l’epoca forma concava.
E ancora, è in questo periodo di floridità professionale che gli verrà affidata la costruzione della chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, nel rione Sant’Eustachio, opera che diverrà il fiore all’occhiello di tutta la sua produzione.
Con la commissione di palazzo Falconieri, Borromini da sfogo al simbolismo esoterico
Forse grazie alla pienezza della sua maturità artistica e professionale, Borromini in questa commessa, si cimenta in ciò che nessuno aveva mai osato prima di allora.
Egli rompe di netto gli schemi con l’iconografia classica e religiosa fin lì perseguita, dando libero sfogo ad un nuovo linguaggio fatto di simboli esoterici e misteriosi.
A tutt’oggi le raffigurazioni dei soffitti di quattro sale poste al primo piano del palazzo, risultano decisamente incomprensibili e di difficile interpretazione.
Sicuramente una precisa volontà del committente Orazio Falconieri che Borromini ha saputo però rappresentare al meglio, rifacendosi ad una articolata combinazione di elementi di ispirazione orientale con un’innegabile ispirazione all’impenetrabile mondo degli alchimisti.
Oscuri messaggi anche di matrice politica, da leggere forse attraverso una filosofia di stampo massonico e sicuramente una delle chiavi di lettura ma non l’unica dell’intero contesto.
Dopo la morte di Innocenzo X, la fortuna del Borromini sembrò però mancare di quel sostegno politico che innegabilmente dobbiamo ammettere muoveva molto della Roma dell’epoca.
Il carattere chiuso ed ombroso non gli permise al Borromini di elevarsi, facendo leva sul suo geniale talento, da questa condizione di svantaggio momentaneo, tanto che ne perì cadendo in uno stato di abbandono emotivo che lo portò alla morte per sua stessa mano.
Riuscì a trafiggersi con una spada poggiata sul pavimento, sulla quale egli riversò tutto il suo peso al fine di trapassarsi.
Intento che riuscì ma non gli provocò una morte immediata; passarono molte ore di agonia durante le quali però, ebbe modo di disporre le sue ultime volontà.
Si narra che fosse così geloso dei suoi bozzetti da darli tutti alle fiamme per non lasciarne traccia.
Il 2 agosto 1667, alle dieci del mattino, il geniale architetto Francesco Castelli, detto Borromini, si arrendeva alla morte, trovando forse finalmente pace, da quel tormento interiore che lo aveva accompagnato per tutta la vita.