Caro lettore filonipponico, ti sembrerà strano che nella nostra rubrica di Arte Giapponese oggi ti parli delle antichissime ceramiche cinesi esposte al Museo di Arte Orientale di Venezia. Ma in realtà non dovrebbe essere così strano, dato che cinesi e giapponesi hanno diversi punti in comune nella loro storia. Sappiamo bene che molto della cultura nipponica sia stato preso in prestito, e fatto proprio, direttamente dalla Cina.
Le ceramiche cinesi esposte nella mostra “Vivaci Trasparenze”
Dal 7 settembre al 23 ottobre 2022, il MAOV – Museo d’Arte Orientale di Venezia ospita la mostra Vivaci Trasparenze. Ceramiche di Yaozhou dalla collezione Shang Shan Tang, rassegna internazionale dedicata alle manifatture delle antiche fornaci di Yaozhou, situate nella Cina settentrionale.
Attive dall’VIII al XIII secolo, queste fornaci sono celebri soprattutto per la loro produzione dei secoli XI e XII, caratterizzata dalla presenza di vivaci motivi decorativi intagliati o impressi sotto un’invetriatura trasparente di colore verde oliva che va sotto il nome generico di celadon in Occidente e di ceramica verde-azzurra qingci in cinese (gres con invetriatura verde-azzurra).
La parabola storica delle manifatture di Yaozhou, è sorprendente da qualunque prospettiva la si osservi: tecnologica, archeologica e testuale. Da opificio periferico con una produzione modesta nella fase iniziale, prima della metà del X secolo i suoi celadon erano già inclusi nel sistema di tributo imperiale e nell’XI secolo divenne il centro più influente dell’impero per i qingci che ricordano la giada, il materiale simbolo della Cina, che nel 1084 gli valsero addirittura il permesso del governo di erigere la prima stele dedicata alla divinità della ceramica.
Le 96 opere in esposizione provengono tutte da una collezione privata straniera, la Shang Shan Tang, alla lettera “Sala del sommo bene”, che include una delle raccolte di ceramiche di Yaozhou più complete al mondo, illustrando lo sviluppo della manifattura con esemplari di eccellente qualità. Tutti i pezzi saranno esposti nella sala 12 del Museo d’Arte Orientale, che nel 1928 fu destinata a ospitare le porcellane cinesi di quella che fu un tempo la collezione di Enrico di Borbone. Lo storico allestimento ideato da Nino Barbantini è stato preservato da allora e armonizza gli straordinari pezzi asiatici con i caratteri di un appartamento rococò, adorno di specchi e stucchi settecenteschi, creando un ambiente di grande fascino.
Questo progetto rinnova la collaborazione tra l’Università Ca’ Foscari Venezia, con il suo Dipartimento di Studi sull’Asia e Africa Mediterranea, e Museo d’Arte Orientale della Direzione regionale Musei Veneto per la realizzazione di eventi di elevato profilo scientifico e insieme divulgativo, in una sinergia di intenti utile e necessaria per la diffusione della conoscenza delle culture extraeuropee.
La fornace di Yaozhou
Da opificio modesto, nel X secolo la fornace di Yaozhou si era già specializzata nella produzione di celadon di alta qualità (fino a quel momento appannaggio delle manifatture meridionali), attraverso una serie di conquiste tecnologiche dettate dall’esigenza di risolvere difetti e inconvenienti. Nota in seguito soprattutto per la fabbricazione di celadon dalla tonalità verde oliva con motivi decorativi incisi o impressi sotto l’invetriatura, era stata impiantata per produrre ceramiche con coperta nera per uso quotidiano domestico e il genere a smalti policromi sancai (“tre colori”) destinato per lo più ai corredi funerari.
La Cina settentrionale era nota per la produzione di porcellana e gli artigiani di Yaozhou si cimentarono anche nella fabbricazione di ceramica bianca (falsa porcellana), realizzata coprendo le impurità presenti nelle argille del corpo con uno strato di ingobbio bianco prima dell’applicazione della vetrina trasparente incolore. I risultati erano però deludenti: più che bianco, il rivestimento risultava di un giallo poco attraente che indusse i fuochisti ad avventurarsi nel complesso, e per loro sconosciuto, sistema della cottura in atmosfera riducente (priva di ossigeno).
Le analisi chimiche hanno mostrato che la ricetta per corpo e invetriatura rimase invariata, ma grazie alla cottura in riduzione, la coperta risultava di un verde più che soddisfacente, quando il titanio contenuto nell’ingobbio non interferiva ingiallendola. Per ovviare a questo problema, i ceramisti iniziarono a rivestire completamente gli oggetti prima di ingobbio bianco e poi di vetrina. Tale metodo presentava però un’altra sfida: durante la cottura, l’invetriatura diventa una potentissima colla, rendendo quindi necessario limitare il più possibile i punti di contatto del piede di ogni oggetto con il fondo del contenitore nel quale veniva inserito per la cottura.
Anche in questo caso i vasai di Yaozhou dimostrarono grande ingegno raffinando progressivamente la tecnica fino a concepirne una che lasciava soltanto tre piccole cicatrici sulla base. Tale pratica è comunemente associata alle celebratissime ceramiche Ru (prodotte dalla fine dell’XI secolo per un centinaio di anni) e considerata una grande conquista dei ceramisti di Ru, ma in realtà furono i colleghi di Yaozhou a inventarla centocinquanta anni prima. Una nuova sfida si presentò nell’XI secolo, quando i fuochisti adottarono il carbone (in sostituzione della legna che scarseggiava) come combustibile per alimentare le fornaci. La diversa resa del carbone rispetto alla legna impose modifiche significative alla pianta dei forni, mentre il rapido raffreddamento alla fine del ciclo di cottura garantiva invetriature trasparenti (al contrario di quelle precedenti che invece erano translucide). La trasparenza era importante affinché i motivi decorativi eseguiti sul corpo sottostante fossero ben leggibili: il nuovo gusto estetico, infatti, prediligeva oggetti intensamente ornati, ma, sotto una coperta translucida, i decori apparivano nebulosi; perciò, i fuochisti di Yaozhou sfruttarono la piena maturità raggiunta dalle vetrine cotte nei forni alimentati a carbone, raffreddandole rapidamente. Quanto alla sfumatura verde oliva che contraddistingue le coperte di questo periodo, recenti analisi chimiche hanno indicato una modifica della ricetta, probabilmente dovuta alla composizione delle materie prime locali, caratterizzata da un aumento della percentuale di titanio, responsabile di questa tonalità.
L’invetriatura opalina tornò in auge tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo con le ceramiche Ru, molto apprezzate dall’imperatore Song Huizong che le volle utilizzare a corte. Ancora una volta i ceramisti di Yaozhou seppero rispondere prontamente alla nuova moda, creando la cosiddetta vetrina “chiaro di luna”, dall’aspetto simile alla giada, translucida, brillante, morbida, e caratterizzata da una tonalità di verde molto tenue (al contrario del celeste tipico degli esemplari Ru). Nel XIII secolo le manifatture di Yaozhou andarono in disuso per essere riscoperte attraverso una serie di campagne archeologiche soprattutto negli anni Novanta del secolo scorso che ne hanno dimostrato il ruolo cruciale nello sviluppo della storia della ceramica cinese.
Le sezioni della mostra Vivaci Trasparenze
La mostra è organizzata per temi, a partire da quello tecnologico in modo da cogliere la sofisticatezza degli esperimenti condotti nel tempo dai ceramisti di Yaozhou, sempre pronti a raccogliere le sfide poste dalle caratteristiche intrinseche alle materie prime locali, a innovare costantemente la produzione e ad adattarsi alle mode del momento.
Alcune teche sono centrate intorno ai motivi decorativi intagliati, incisi, o impressi che contraddistinguono i celadon di Yaozhou: peonie (metafora della sensualità femminile), crisantemi (simbolo dell’autunno e della saggezza che si acquisisce con gli anni), loti (introdotti con il buddhismo), bambini che giocano (augurio di progenie numerosa e discendenza ininterrotta), anatre mandarine in uno stagno (emblema di fedeltà coniugale), mini sculture raffiguranti tartarughe applicate sul fondo di piccole tazze per dare l’impressione che stiano nuotando nel liquore che vi si verserà, animali mitologici che evocano storie straordinarie. Altre vetrine sono invece incentrate sulla funzione delle forme utilizzate in ambito domestico, ma anche religioso (soprattutto buddhista). Una teca è dedicata agli esemplari contrassegnati da iscrizioni, una delle quali di particolare importanza poiché indica che già all’epoca delle Cinque Dinastie (907-960), le fornaci di Yaozhou avevano raggiunto l’eccellenza nella fabbricazione di celadon, tanto da essere incluse nel sistema di tributi per la corte imperiale. Se le manifatture di Yaozhou sono famose per le loro ceramiche dal colore verde oliva, è importante sottolineare che esse eccelsero anche nella produzione dei generi rosso ruggine e nero, quest’ultimo monocromo o chiazzato di rosso con un effetto molto moderno, e infatti una vetrina accoglie le varie tipologie mettendone in evidenza i colori.
La mostra è visitabile dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18, e la visita è compresa nel biglietto d’ingresso al MAOV – Museo d’Arte Orientale di Venezia.