Come anticipato nel nostro articolo introduttivo, abbiamo pensato di trasmettervi l’esperienza di alcuni artisti, creativi e fotografi, che stanno sfruttando questo momento per trovare nuovi slanci al loro lavoro.
Persone, che riescono a trovare dentro, quella scintilla e voglia di fare che sta alla base di ogni principio creativo: ricerca e sperimentazione.
E’ questo il caso di Claudio Orlandi, che la settimana scorsa ci aveva anticipato il suo bellissimo progetto, ancora “senza nome”: una serie di scatti realizzati con l’aiuto di uno strumento tecnologico di ultima generazione messo a punto dal nostro “compagno di avventura” digitale: Google.
E se pensate che questa non sia creatività, vi chiediamo di andare oltre il pregiudizio e di scoprire innanzitutto, chi è Claudio Orlandi.
Claudio Orlandi e la fotografia metamorfica
Claudio Orlandi è romano e scatta dal 2010 in maniera esclusiva.
Ha partecipato a mostre collettive e personali tra le più conosciute del panorama contemporaneo italiano e pubblicato le sue foto sulle migliori riviste di settore.
La sua, è una visione differente che stimola nell’osservatore, la capacità di vedere oltre la superficie.
Nelle sue composizioni minimaliste, coesistono poesia e formalità alle volte in netto contrasto. >vedi foto in galleria
La particolarità del suo lavoro si fonda sulla capacità di sintesi che – attraverso l’inquadratura e il sapiente uso della luce – “metamorfizza” la realtà che l’autore si trova davanti e ancora, porta nuovi risultati nell’osservatore.
Il tipo di attenzione che Claudio dedica al soggetto, è quella che ricerca un’atmosfera eterea, intangibile, ferma nel tempo che evidenzia una sorta di “forma ideale” che altro non è che “porzione del tutto”.
Le sue foto divengono così enigmi: immagini che ci appaiono come quadri astratti o impressionisti e che ci fanno immaginare o più intensamente sentire l’essenza di un’atmosfera.
Nelle sue composizioni, alle volte, riusciamo a percepire un paesaggio che mai viene espresso integralmente ma che riesce a scovare ciò che “si rende necessario all’osservatore”: l’essenza delle cose, siano esse forme, odori, colori o sensazioni.
Claudio ci lascia liberi d’interpretare ciò che vedremo nella forma, cosciente che sarà qualcosa di personale.
Non è strano che all’osservatore appaiano mutazioni, movimenti, interrogazioni e analisi.
Claudio Orlandi opera con uno scatto pulito, poco lavorato a posteriori e conferisce alle sue immagini un aspetto armonico, elegante e autentico – anche quando queste appaiono surreali come un dipinto impressionista.
Il concetto di metamorfosi
Per Claudio Orlandi, la perdita di riferimenti identificativi del paesaggio produce un disorientamento visivo che induce l’osservatore ad una interpretazione “forzata”.
Uno dei tanti limiti dell’essere umano, infatti, è quello di voler dare spiegazione, un senso realistico e riconoscibile a ciò che vede.
La ricerca, porta dunque all’individuazione di quei meccanismi che stimolano l’interpretazione di un soggetto che “muta” per forma e sostanza e che non è più riconoscibile.
Il suo lavoro – ci racconterà tra poco – indaga la percezione del reale e come può essere influenzata dall’immagine.
La parola a Claudio Orlandi
Abbiamo fatto qualche domanda a Claudio, cercando di cogliere da lui il senso del suo lavoro e con magnifica sorpresa abbiamo trovato un fiume in piena.
Ci ha fatto dono della sua storia in maniera esaustiva e oggi vogliamo condividerla con voi, perché questo momento sia visto come una magnifica possibilità per trarre fiducia e capacità di fare di ogni momento critico, un’opportunità: liberati di ogni preconcetto.
Lasciamo allora fluire le sue parole, grazie Claudio!
Divento fotografo per puro caso, grazie al regalo del mio testimone di nozze: in mano stringo la mia prima reflex Senza nemmeno conoscere la parola “fotografia”. In viaggio di nozze arrivano i primi timidi scatti e subito capisco di avere dentro qualcosa di assopito da risvegliare.
La mia formazione artistica e fotografica è completamente autodidatta: inizio iscrivendomi ad un fotoclub nei primi anni 90, leggendo riviste tecniche e visitando tutte le mostre possibili, di ogni genere. Mi appassiono all’Arte e approdo alla storia della fotografia.
Capisco in fretta di essere maggiormente coinvolto da autori dalla sorprendente capacità creativa piuttosto che strettamente reportagistica o documentaristica (Olivo Barbieri, Franco Fontana, Veronesi, Man Ray ) sono attratto dalla meraviglia degli astratti in bianconero di Giacomellie dalla sua “Presa di coscienza della natura”.
Ne sono fortemente influenzato. Innamorato.
Allo stesso modo, mi sento catturato dalla rappresentazione della “forma” come quella appena percettibile dei grandi impressionisti e degli espressionisti della storia dell’arte, o da quelle scomposte dei futuristi, dei cubisti: in qualche modo devo interpretarle e non soltanto “goderne”. Così mi metto a studiare l’arte a 360°.
Tutto questo periodo di apprendistato, si tradurrà poi come sintesi nel mio primo lavoro: “i Tatuaggi di Luce” > vedi gallery <in cui l’intento sarà quello di “dipingere” utilizzando colori e luci proiettati sulle anatomie: in parte visibili e comprensibili e in parte del tutto astratti. (1993)
Inizio a percepire l’influenza di Man Ray e quanto sia stato importante aver appreso dai grandi maestri della storia.
Ancora del tutto inconsapevole, mi convinco di dover proseguire e soltanto successivamente riconoscerò nei primi scatti, il germe di quello che io oggi definisco “metamorfismo”.
Arriverò a maturazione, solamente diversi anni dopo quando dal mio percorso fotografico ormai decennale, riconoscerò la mia cifra stilistica e il mio modo d’intendere lo scatto.
La mia visione, pur legata alla forma, è qualcosa che lascia ”liberi di vedere” oltre la verità. Mi piace confondere macrocosmi e microcosmi in una visione “metamorfica” del reale – il termine “metamorfismo” Lo prendo gentilmente in concessione dalla geologia -.
L’universo in cui ciascuno è padrone della propria interpretazione
“La giusta comprensione di una cosa e il suo fraintendimento non si escludono del tutto a vicenda” Kafka, Il processo
Pur partendo da un dettaglio di realtà, l’immagine diventa oggetto di interpretazione non essendo ancora un’immagine astratta, ma figurativa.
In tal senso, sono state già fatte un sacco di altre sperimentazioni e non mi sento “inventore di una tecnica” o innovatore. Mi trovo dentro questa linea, leggendo le parole di Kafka e realizzando come la sua poetica, riecheggi con il mio lavoro: come sia analogo il processo mentale immaginario e come si smarriscano le coordinate classiche di una visione ordinaria stravolgendo le regole accademiche a vantaggio della percezione.
Per il momento, sento appartenermi questa cifra stilistica e mi identifica, nonostante sia consapevole che tutto potrebbe cambiare e domani, potrei voler approdare a nuovi risultati.
Gli strumenti e i luoghi di Claudio Orlandi
Mi servo di obiettivi con lunghezze focali ampie – dai 120 mm in su – nei miei “paesaggi”, non si vedono mai cieli, a meno che gli stessi non si confondano con la terra – “Timeless” > vedi gallery <
Sono sempre stato un appassionato di paesaggi montani e così, negli ultimi anni del mio percorso, i progetti legati al metamorfismo nella montagna hanno trovato l’humus necessario alla loro creazione: l’ambiente d’alta quota mi permette per esempio, di notare il polline che si deposita nei laghetti alpini nel mese di giugno e si trasforma in scie di colore difficilmente identificabili a primo impatto. >vedi foto di copertina<
Riguardo la tecnica, ho sempre pensato che è la testa ciò che conta per realizzare quello che si ha in mente e per questo, ritengo che vinca sul risultato finale.
La tecnologia si è evoluta, la macchina fotografica spesso viene sostituita dai telefoni dalle elevate capacità descrittive.
Io sono un felice possessore di un IPhone 11 pro max e posso garantire che ha delle prestazioni da urlo, tanto da permettermi di sperimentare.
A proposito di tecnologia, testa e sperimentazione, a proposito di importanza di un progetto e di una visione, vi confesso di sentirmi libero di utilizzare qualsiasi mezzo questo tempo metta a disposizione. Visto il periodo poco propenso agli spostamenti, mi vedo intento all’inizio di un nuovo progetto che comprende l’ausilio di GoogleHeart.
Attraverso i miei viaggi digitali, scopro angoli e visioni ”metamorfiche” inesplorate, che si avvicinano incredibilmente alla mia visione e alla composizione che prediligo. E’ imbarazzante quanta arte ci sia nella natura stessa e non vedo l’ora di terminare le mie composizioni multi screenshot per vedere il risultato finale.
Ovviamente, il mio corredo Nikon resta sempre pronto e scalpitante, ma voglio dire a tutti che il mezzo più potente di creazione a nostra disposizione è la mente e non il mezzo col quale realizziamo il nostro lavoro.
Ritengo che non sia necessario andare dall’altra parte del mondo per realizzare un progetto, c’è ancora tanto di noi stessi da scoprire e da fermare. Se stai cercando uno spunto per la realizzazione di foto indoor, ti suggerisco di farti ispirare dai grandi ( rayogrammi di Man Ray; i cliche-verrè e i “pirogrammi” di Nino Migliori, o anche gli “Horizons” di Silvio Wolf).
La bellezza dell’arte, così come della fotografia, è quella di emozionare, prima di tutto noi stessi e poi chi osserva. Cosa c’è di più bello e coinvolgente?