Il corpo, davanti a un obiettivo, cambia.
Può irrigidirsi. Può mostrarsi. Può crollare.
Non è solo posa. È esposizione. Il corpo fotografato è un corpo messo in questione.
E quando la fotografia lo affronta davvero – senza filtri, senza compiacimenti – smette di essere immagine. Diventa verità.
Il corpo che provoca
Robert Mapplethorpe. Basta il nome per evocare uno scontro.
I suoi ritratti in bianco e nero – di atleti, uomini nudi, amanti, icone queer – non lasciano indifferenti. Non vogliono. Ogni linea muscolare è un manifesto. Ogni posa, una sfida al perbenismo. Il corpo, qui, è potenza visiva.
Ma anche una dichiarazione: guardami tutto, se hai il coraggio.
Il corpo che scompare
All’opposto, Francesca Woodman. I suoi autoritratti sono evanescenti. Figure femminili sfocate, a metà tra presenza e assenza. Corpi che cercano rifugio nei muri, nei mobili, nella luce.
Non c’è provocazione. C’è fragilità. C’è una domanda sospesa: ci sei? mi vedi?
Lei non è solo il soggetto dello scatto. È il suo stesso fantasma.
Il corpo sociale

La fotografia non racconta solo individui. Ma anche gruppi. Comunità. Stigmi.
Zanele Muholi, artista sudafricana, ritrae persone nere queer e trans con uno stile diretto, potente, dignitoso. I suoi scatti non chiedono pietà. Chiedono visibilità.
Ecco perché funzionano: perché costringono lo sguardo a stare, ad ascoltare senza parole.
Oppure pensa a Nan Goldin, che ha trasformato la propria vita – amori, droga, sangue, dolore – in una narrazione fotografica continua. Ogni corpo che appare nei suoi lavori è vero. E vulnerabile.
Corpo e censura
Il corpo nudo, fotografato, mette ancora a disagio. I social lo cancellano, le istituzioni lo rifiutano, il pubblico si divide.
Perché?
Forse perché ci costringe a guardarci davvero. A confrontarci con i nostri limiti, le nostre paure, le nostre ipocrisie.
Ma il corpo è il nostro primo luogo. È casa. È territorio. È confine. E quando lo fotografiamo, lo scriviamo.
E noi? Come ci vediamo?
Nel mondo degli smartphone, tutti siamo fotografi. Ma quanti di noi si sentono davvero visti?
Ci mostriamo filtrati, ritoccati, smussati. Ma il corpo vero? Quello con la pelle che cambia, le cicatrici, le curve, le incertezze?
La fotografia, quella che conta, non liscia. Scava. E restituisce.
Ogni scatto è una domanda
Che corpo scegliamo di mostrare? E perché?
Ti è mai capitato di guardare una foto e sentire che qualcuno, dentro quell’inquadratura, stava gridando? O stava pregando, forse. In silenzio.
Se sì, allora sai cosa intendo.
Se no… prova a guardare meglio.
Scrivici nei commenti le immagini che ti hanno colpito davvero. Quelle che non riesci a dimenticare.
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