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Lettura: Destinazioni Sconosciute #64 Darvaza, la Porta dell’Inferno: il cratere che brucia da mezzo secolo nel cuore del Turkmenistan
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Destinazioni SconosciuteMistero

Destinazioni Sconosciute #64 Darvaza, la Porta dell’Inferno: il cratere che brucia da mezzo secolo nel cuore del Turkmenistan

Nel cuore del deserto del Karakum, la Porta dell’Inferno di Darvaza brucia da oltre 50 anni. Un cratere acceso dagli scienziati sovietici diventato icona del Turkmenistan.

Massimo 2 mesi fa Commenta! 7
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Nel mezzo del deserto del Karakum, in uno dei paesi più inaccessibili del pianeta, si apre una ferita ardente nella terra. La chiamano “Door to Hell”, la Porta dell’Inferno, e non è solo una trovata giornalistica: è un cratere largo 70 metri, profondo una trentina, che brucia ininterrottamente da oltre 50 anni. Un incendio che nessuno è riuscito a spegnere, un errore umano diventato monumento geologico, e uno dei luoghi più inquietanti e magnetici del nostro tempo.

Contenuti
Una storia cominciata nel pieno dell’era sovieticaCos’è la Porta dell’Inferno oggiGeologia, gas e combustione continuaLe contraddizioni del TurkmenistanSimboli e suggestioni culturaliUn turismo difficile, ma in crescitaPerché vale la pena parlarne oggi

Una storia cominciata nel pieno dell’era sovietica

Siamo nel 1971. Un gruppo di geologi sovietici si trova nell’area di Darvaza per perforare un giacimento di gas naturale. Le operazioni sembrano procedere normalmente, finché il terreno collassa, creando un’enorme voragine. Si tratta con tutta probabilità di una caverna sotterranea di gas, rimasta nascosta sotto uno strato di terreno instabile.

Immediatamente, iniziano a fuoriuscire grandi quantità di metano. I tecnici si trovano davanti a un bivio: abbandonare il sito, con il rischio di contaminazione e morte del bestiame locale, oppure provare a contenere il problema. Decidono di appiccare il fuoco, convinti che le fiamme avrebbero bruciato tutto il gas nel giro di qualche giorno.

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Darvaza

Non potevano immaginare che quel “qualche giorno” si sarebbe trasformato in decenni. Dal 1971, le fiamme non si sono mai spente.

Cos’è la Porta dell’Inferno oggi

Il cratere di Darvaza si trova in Turkmenistan, nell’area settentrionale del deserto del Karakum, a circa 260 chilometri da Ashgabat, la capitale. Non esiste una vera strada che lo colleghi al resto del paese: ci si arriva solo attraversando dune, piste sterrate e sabbia rovente.

Eppure, ogni anno migliaia di turisti affrontano il viaggio per vederlo da vicino. Di notte, il contrasto tra il nero assoluto del deserto e l’arancio vivo delle fiamme è spettrale. Si ha la sensazione di guardare dentro il ventre della Terra.

Il soprannome “Door to Hell” gli è stato dato dai residenti locali e poi amplificato da National Geographic, che nel 2011 ha incluso il sito in un documentario sulle destinazioni più estreme del pianeta. Da allora, il cratere è diventato un’icona del turismo “post-apocalittico”.

Geologia, gas e combustione continua

Darvaza

Ma perché brucia ancora?
Il cratere sprigiona metano, un gas naturale altamente infiammabile. Il sottosuolo del Turkmenistan è ricco di giacimenti e sacche di gas non completamente sfruttate. La roccia porosa ha permesso al metano di continuare ad affluire lentamente nel cratere anche dopo l’esplosione iniziale.

Il fuoco si autoalimenta, grazie a una combustione sotterranea continua. Alcuni geologi sospettano che la pressione e la temperatura interna tengano il fenomeno attivo, anche se i dettagli tecnici esatti non sono mai stati divulgati pienamente. Il governo turkmeno non ama parlare troppo della faccenda.

Secondo gli ultimi dati raccolti da studiosi locali, il cratere emette tonnellate di gas serra ogni anno, rendendolo un punto critico anche da un punto di vista ambientale.

Le contraddizioni del Turkmenistan

Darvaza

Darvaza si trova in uno dei paesi più chiusi del mondo. Il Turkmenistan è una ex repubblica sovietica guidata oggi da un regime autoritario con forti restrizioni su internet, stampa e turismo. Nonostante ciò, la Porta dell’Inferno è diventata un simbolo non ufficiale del paese, che la promuove con cautela nei circuiti internazionali.

Nel 2010, l’esploratore George Kourounis è riuscito a scendere dentro il cratere con una speciale tuta ignifuga, per prelevare campioni e analizzare le condizioni del microclima interno. Il risultato? Tracce di microrganismi estremofili capaci di sopravvivere in condizioni estreme. Uno scenario che ha incuriosito persino gli astrobiologi.

Nel 2022, il presidente Gurbanguly Berdimuhamedow ha annunciato di voler chiudere il cratere, per motivi ambientali ed economici. Ma finora nulla è cambiato: l’inferno continua a bruciare.

Simboli e suggestioni culturali

In nessun altro luogo la metafora della terra che brucia dall’interno appare così concreta. Il cratere di Darvaza è diventato, nel tempo, simbolo del paradosso energetico: l’uomo che scava alla ricerca di risorse, finendo per innescare disastri che non sa più contenere.

La Porta dell’Inferno è stata al centro di racconti, video musicali, videogiochi, meme e perfino cortometraggi. In molti l’hanno associata all’immaginario dantesco, alla fantascienza, o alle leggende del fuoco eterno.

Per i turisti, è una prova di coraggio. Per i locali, è qualcosa di più: un ricordo vivente della potenza della terra, e dell’errore umano.

Un turismo difficile, ma in crescita

Darvaza

Arrivare a Darvaza non è semplice. Le agenzie locali organizzano tour nel deserto con jeep attrezzate, spesso con pernottamento in tenda nei pressi del cratere. Non ci sono alberghi, strutture ricettive, né protezioni intorno alla voragine.

Chi ci è stato racconta l’esperienza come surreale, ipnotica, silenziosa. Il calore è opprimente anche a metri di distanza, e le fiamme si alzano senza sosta, come un respiro profondo e continuo che non si ferma mai.

Negli ultimi anni, blogger e fotografi di viaggio hanno riportato in auge l’interesse per Darvaza, rendendola una delle mete più ricercate del cosiddetto turismo del limite: luoghi dove il paesaggio naturale si fonde con la catastrofe, la scienza e la paura.

Perché vale la pena parlarne oggi

Il cratere di Darvaza non è solo uno spettacolo della natura. È una lezione geologica, ambientale e politica. Mostra cosa accade quando si forza la mano alla Terra senza sapere come andrà a finire. Ma è anche un esempio concreto di quanto siano fragili i nostri tentativi di controllare l’ambiente, e quanto sia forte la spinta a renderlo uno spettacolo.

In un’epoca in cui le ferite del pianeta diventano mete turistiche, la Porta dell’Inferno rimane uno dei simboli più intensi della nostra relazione ambigua con il mondo naturale: affascinati dal disastro, attratti dal pericolo, incapaci di spegnere ciò che abbiamo acceso.

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