C’è un punto, nel cuore più selvatico della Val d’Orcia, dove il tempo si è fermato. Un pugno di case in pietra, una vista vertiginosa sulla valle, e un silenzio che sembra scolpito nella roccia. È Castiglioncello del Trinoro, frazione fantasma di Sarteano (SI), oggi rinato a metà. Restaurato, curato, addirittura celebrato dalla stampa internazionale. Eppure, vuoto. Per almeno dieci mesi l’anno.
Questo è il paradosso di un luogo che sembrava spacciato, ma che oggi si interroga su cosa significhi davvero “ritornare in vita”.
Da borgo abbandonato a villaggio culturale
Negli anni ‘80 Castiglioncello era quasi scomparso. Gli abitanti se n’erano andati, molti verso Roma o gli Stati Uniti. Le case crollavano, i tetti ceduti. Poi, qualcosa è cambiato: una famiglia americana, i Baccheschi-Berti, si innamora di quel promontorio dimenticato e decide di intervenire. Comprano, restaurano, investono. Nasce Monteverdi Tuscany, un hotel di lusso diffuso, ma anche una scuola di musica, una galleria, una biblioteca, persino una spa scavata nella roccia.
Non solo ospitalità, ma un progetto culturale, ambizioso e colto. Castiglioncello torna a essere una destinazione — non per chi cerca movida, ma per chi cerca senso. Con artisti in residenza, scrittori, musicisti, chef, artigiani. Per qualche settimana all’anno, il borgo si riaccende.
Ma per chi è pensato questo ritorno?

Ecco la domanda scomoda. O meglio, inevitabile. Chi abita Castiglioncello del Trinoro oggi? La risposta, secca, è: nessuno. O quasi. Qualche presenza stagionale, un custode, un paio di famiglie legate al progetto. Il resto, è turismo alto spendente, spesso americano. E quando la stagione finisce, tutto si spegne.
Il borgo è stato salvato dalla rovina, ma non dalla solitudine. Si cammina tra i vicoli lastricati e si sente odore di gelsomino, si intravedono tende di lino, luci calde dietro vetri perfetti. Ma nessuno che parli italiano, nessun bambino, nessun anziano seduto sulla panca all’ombra. Una bellezza ricostruita, ma orfana della vita quotidiana.
Un laboratorio estetico (e filosofico)
Quello di Castiglioncello non è solo un caso architettonico. È un esperimento culturale, quasi un’opera d’arte concettuale in scala reale. Può l’arte restituire senso a un luogo disabitato? Può la bellezza bastare a sostituire la comunità?
La risposta, forse, è nel modo in cui ti senti camminando tra le sue pietre: affascinato, ma inquieto. Come in un museo a cielo aperto dove, però, nessuno ti osserva. Tutto è perfetto, ma immobile.
Eppure, è anche questo il fascino di Castiglioncello: un luogo che non mente, che ti costringe a pensare. A cosa vuol dire salvare un borgo. A cosa serve davvero l’arte, quando il contesto originario è svanito.
Vale la pena andarci?
Sì, ma con consapevolezza. Non aspettarti una “festa di paese”, né un agriturismo popolato. Aspettati silenzio, panorami struggenti, un bar dove puoi bere un espresso guardando 100 km di colline, e magari ascoltare un quartetto d’archi in una chiesa romanica perfettamente restaurata.
È un posto per chi ama i contrasti, per chi sa che anche i luoghi “rinati” possono portare con sé fantasmi. Fantasmi che non fanno paura, ma che raccontano quanto sia fragile ogni tentativo di ricucire il tempo.
E tu, ci andresti in un posto così? Ti affascina l’idea di vivere un borgo quasi disabitato, ma pieno di storie? Faccelo sapere nei commenti o su Instagram.