Il Diavolo di Mergellina, un suggestivo dipinto raffigurante il demonio con il misterioso volto di una donna esposto a ricordo di un riuscito esorcismo, nella Chiesa di Santa Maria del Parto, esattamente nell’incantevole cornice di Mergellina, nel quartiere di Chiaia.
Napoli si sa nasconde tesori, segreti e misteri. Uno di questi riguarda il dipinto di San Michele che scaccia il Demonio, da tutti però conosciuto come il Diavolo di Mercellina un mistero tra leggenda e realtà che perdura ormai da più di cinquecento anni.
Il dipinto del Diavolo di Mergellina fu realizzato da Leonardo da Pistoia nel 1542, apprezzato artista rinascimentale che proprio in questa tela fu costretto per insindacabile richiesta del committente, ad usare colori miscelati con un particolare balsamo
I soggetti della tela sono il guerriero alato Arcangelo Michele ritratto nel momento in cui scaccia il demonio dai cieli, quest’ultimo qui ritratto con il viso di una bella donna dai capelli biondi.
Strano già a prima vista questo accostamento del delicato volto femminile nel quadro del Diavolo di Mergellina, particolarità che sa sempre ha suscitato una certa curiosità verso la tela che ti voglio far conoscere.
Oltre a questa caratteristica immediatamente individuabile nella sua particolarità, è certo che il dipinto del Diavolo di Mergellina nasconda una storia decisamente misteriosa e complessa che con il trascorrere dei secoli è diventata una vera leggenda.
Il volto femminile ritratto nel dipinto rappresenta qualcuno di realmente esistito e la critica sembra unanime nell’indicare in Vittoria D’Avalos.
La leggenda del Diavolo di Mergellina e perché abbia un angelico volto di donna
Narra la leggenda che una nobildonna napoletana, Vittoria d’Avalos appunto, il cui volto è finito a rappresentare la fisionomia del maligno nel dipinto il Diavolo di Mergellina, la quale continua il racconto sulla storia del quadro, si innamorò perdutamente di Diomede Carafa, ahimè Vescovo di Ariano Irpino.
Ed ecco spuntare anche un misterioso sortilegio. La nobildonna napoletana, per ingraziarsi le attenzioni amorose del Vescovo, confezionò a una potente fattura d’amore, nel disperato quanto sciagurato tentativo di irretire l’ecclesiastico.
La fattura fu racchiusa in alcune frittelle dolci che l’attraente Vittoria innocentemente porse a Diomede affinché le assaggiasse.
L’uomo, o meglio il Vescovo, non declinò, racconta le leggenda, l’invito ad assaggiare quei dolcetti ma senza neanche averli completamente assaporati, improvvisamente fu travolto da un’inaspettata quanto travolgente passione verso colei che gli aveva offerto il goloso assaggio.
Da quel momento si narra non riuscì più a cancellare dalla sua mente Vittoria, fatto che imperdonabilmente metteva in discussione il suo sacerdozio.
Fu da questo tormento che Diomede, uomo probo fedele ai suoi principi e alle sue scelte, incominciò a credere che Vittoria fosse in realtà un demone che così facendo, tentava di corrompere la sua anima di Vescovo.
Risoluto il Vescovo Diomede decise di coinvolgere un esorcista per annientare il maleficio scagliato dalla bellissima Vittoria.
La sua attenta scelta ricadde su un monaco di Procida, il quale invitò Diomede a commissionare ad un pittore la realizzazione di un dipinto, che doveva essere interamente realizzato con colori miscelati ad balsamo misterioso.
Il completamento del rituale di esorcismo, prevedeva che la tela, in questo caso il Diavolo di Mergellina, fosse obbligatoriamente posta a dimora in un luogo sacro e poco prima benedetto con acqua santa.
Anche i soggetti del quadro del Diavolo di Mergellina furono espressamente indicati dal monaco che praticò l’esorcismo il quale diede precise indicazioni dicendo che il quadro doveva raffigurare l’Arcangelo Michele, guerriero di Dio simbolo della forza del bene, nell’atto di sopraffare il demonio e quest’ultimo infine doveva essere rappresentato espressamente con il volto di Vittoria, che nella vicenda narrata rappresenta esattamente l’incarnazione del male.
La narrazione della leggenda si conclude con la donna che rinuncia a perseguire i suoi intenti e il vescovo che per celebrare la sconfitta del male, fece incidere sotto la tela la frase autocelebrativa: Fecit victoriam alleluia 1542 Carafa.
Questa almeno è la narrazione fin qui giunta di come andarono le cose.