Il diritto di manifestare si riferisce al diritto alla libertà di espressione e di pensiero, riconosciuto a livello globale dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU) del 1948, che garantisce a tutti la libertà di cercare, ricevere, diffondere idee e informazioni attraverso ogni mezzo. Questo diritto, sancito anche dall’articolo 21 della Costituzione italiana, non è assoluto e può essere limitato per proteggere i diritti altrui, la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico.
La sua storia è lunga, con antecedenti già nella libertà di religione nel II-III secolo e nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, ma la sua affermazione universale è un elemento centrale della democrazia moderna. Questa libertà è un pilastro delle democrazie moderne, con radici storiche nel Cilindro di Ciro e nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, ma si scontra con minacce e restrizioni in molte parti del mondo.

Il diritto di manifestare, la storia
Nelle società antiche (Grecia, Roma) non esisteva un vero diritto di manifestare come lo intendiamo oggi. Le assemblee popolari (come l’Agorà greca o i Comizi romani) erano, però, forme di partecipazione pubblica, riservate ai cittadini liberi. Nel Medioevo la libertà di riunione era praticamente assente, il potere politico e religioso controllava strettamente ogni forma di aggregazione. Le rivolte contadine o urbane erano considerate atti di ribellione, non diritti.
In età moderna (1600–1700) le prime libertà politiche arrivarono con le rivoluzioni borghesi (inglese, americana, francese), dando nascita all’idea dei diritti naturali dell’uomo.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (Francia, 1789) afferma il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero (art. 11); tuttavia, la libertà di riunione e di manifestazione non era ancora esplicitamente garantita, infatti lo Stato temeva disordini pubblici.
Nell’800, con l’avvento delle società industriali e dei movimenti operai, cresceva la richiesta di diritti politici e sociali. In Europa, molti Stati iniziarono a riconoscere la libertà di riunione, spesso con limitazioni. In Italia, per esempio, lo Statuto Albertino (1848) non la menzionava esplicitamente, ma in pratica alcune forme erano tollerate. In Gran Bretagna e Francia, le prime leggi liberali ammettono riunioni pacifiche, purché autorizzate. Le manifestazioni operaie (scioperi, cortei) diventano strumenti di pressione politica e sindacale.
Nel novecento, il diritto di manifestare come diritto democratico, dopo le due guerre mondiali e la caduta dei regimi totalitari, diventa la libertà di manifestazione: fondamento delle democrazie moderne. In Italia, la Costituzione del 1948 sancisce l’Art. 17: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi” Le riunioni in luogo pubblico devono essere preavvisate alle autorità, ma non serve autorizzazione. Questo segna la nascita del diritto di manifestare come diritto fondamentale, collegato alla libertà di pensiero (art. 21) e alla partecipazione politica (art. 49).
N’età contemporanea, dalle piazze ai social, il diritto di manifestare è riconosciuto a livello internazionale: l’Art. 20 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) e l’Art. 11 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (1950) Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000)
Le forme di manifestazione si sono evolute in cortei, sit-in, flash mob, scioperi digitali e proteste online. Restano però limiti legali: la manifestazione deve essere pacifica, non violenta e non mettere in pericolo la sicurezza pubblica.
Oggi Il diritto di manifestare è riconosciuto come pilastro della democrazia: uno strumento per esprimere dissenso, partecipare alla vita pubblica e influenzare le decisioni politiche. Tuttavia, in molti Paesi è ancora oggetto di tensione tra libertà individuale e ordine pubblico (ad es. limiti imposti per motivi di sicurezza o emergenze sanitarie come durante il Covid-19).
Perché manifestare è importante?
Manifestare è importante perché ti permette di prendere consapevolezza di ciò di cui hai davvero bisogno e di dare una direzione al diritto alla vita che ci appartiene, quello che nasce dal bisogno autentico di esistere pienamente. Quando manifesti non stai semplicemente chiedendo qualcosa, ma stai dichiarando a te stesso e al mondo quale realtà vuoi creare. Questo atto di chiarezza ci aiuta a concentrarci, a orientare i nostri pensieri e le nostre azioni verso un obiettivo preciso.
Manifestare significa anche credere nella possibilità che l’umanità possa davvero realizzarsi. In questo modo si inizia a comportarci e a pensare in modo coerente con questa visione, con circostanze, persone e opportunità che risuonano con ciò per cui lotti. È come se, mettendo a fuoco un’intenzione, la tua mente si sintonizzasse su quella frequenza e iniziasse a notare segnali e occasioni che prima passavano inosservati.
C’è anche un aspetto profondo di responsabilità e fiducia in sé e nel prossimo, manifestare ti ricorda che sei parte attiva della tua realtà, che non subisci la vita ma la crei (giorno dopo giorno) attraverso ciò che pensi, senti e fai. Per alcune persone, manifestare ha anche un significato spirituale, perché rappresenta un modo per connettersi con l’universo, con l’energia della vita o con qualcosa di più grande, riconoscendo che tutto è in relazione e che i nostri diritti possono diventare ponti verso la crescita personale e interiore.