Ci sono luoghi che si visitano con gli occhi e altri che si attraversano con l’immaginazione. Dozza appartiene alla seconda categoria. Arroccato su una collina a pochi chilometri da Bologna, questo piccolo borgo medievale ha trasformato le proprie strade in una galleria d’arte a cielo aperto. Qui, ogni muro è una tela, ogni vicolo una cornice, ogni finestra un frammento di racconto.
Un paese che dipinge se stesso
L’anima artistica di Dozza nasce nel 1960, quando la critica d’arte biellese Mario Ballocco e il pittore Luciano Minguzzi idearono un esperimento allora insolito: portare la pittura fuori dai musei e lasciarla respirare tra le pietre del borgo. Nacque così la Biennale del Muro Dipinto, una rassegna che da oltre sessant’anni invita artisti italiani e internazionali a lavorare direttamente sulle pareti delle case.
Ogni due anni, pittori, illustratori e muralisti vengono accolti dagli abitanti e lasciano un’opera che resta parte integrante dell’architettura del paese. Non si tratta di street art nel senso urbano del termine: qui il colore non rompe, ma dialoga con la storia. Le pitture convivono con le insegne in ferro battuto, i mattoni antichi e i balconi fioriti, in una sintonia che solo un luogo consapevole della propria identità può permettersi.
Un museo che vive e respira

Passeggiare per Dozza significa attraversare sessant’anni di linguaggi artistici diversi. Dalle prime opere figurative degli anni Sessanta alle composizioni astratte, fino alle incursioni della pop art e alle sperimentazioni digitali più recenti. Ci sono murales che raccontano miti medievali, altri che ritraggono volti di donne, scene di vita quotidiana, sogni, ironie, frammenti poetici.
Ogni epoca ha lasciato la sua impronta, e il risultato è un dialogo continuo tra memoria e contemporaneità. A differenza dei musei tradizionali, qui le opere invecchiano con le stagioni: si screpolano, cambiano colore, si fondono con la luce dei tramonti. È un’arte che non si conserva ma si vive, come il borgo stesso.
La Rocca e il centro storico
Il cuore del paese è la Rocca Sforzesca, costruita nel Quattrocento e perfettamente conservata. Le sue sale, un tempo abitate da Caterina Sforza e successivamente dai Malvezzi-Campeggi, oggi ospitano il Centro Studi e Documentazione del Muro Dipinto: un archivio unico che custodisce bozzetti, fotografie e materiali delle edizioni passate.
Salendo fino alla terrazza, lo sguardo abbraccia le colline imolesi, dove il mosaico dei vigneti racconta l’altra anima di Dozza: quella del vino. Proprio ai piedi della rocca si trova l’Enoteca Regionale dell’Emilia-Romagna, che raccoglie e promuove oltre mille etichette, un piccolo tempio dedicato alla cultura enologica del territorio.
Arte, vino e quotidianità
Ciò che rende Dozza diversa da tanti borghi d’arte è l’integrazione tra vita quotidiana e patrimonio culturale. Le opere non sono isolate né protette da vetri, ma convivono con il bucato steso, le biciclette appoggiate ai muri, le voci dei bambini che corrono tra le piazzette. È un museo che non chiede silenzio, ma partecipazione.
Durante i giorni della Biennale, l’intero paese si trasforma in un laboratorio a cielo aperto: gli artisti lavorano in strada, i residenti portano caffè e vino, i turisti si mescolano ai curiosi. Alla fine della settimana, Dozza si sveglia diversa, arricchita di nuovi colori e di nuovi sguardi.
Una comunità che custodisce
L’aspetto più sorprendente è la cura con cui la comunità locale protegge le opere. Molti murales risalgono a decenni fa, ma sono ancora leggibili e integri grazie agli interventi periodici di restauro e manutenzione. La continuità della Biennale, che nel 2025 ha superato la trentesima edizione, è la dimostrazione che qui l’arte non è un’attrazione passeggera, ma parte del DNA collettivo.
Passeggiando tra via De Amicis, via XX Settembre e piazza Zotti si possono incontrare opere di artisti come Gino Pellegrini, Tonino Guerra, Enrico Della Torre e Ilario Rossi, ma anche giovani nomi della scena contemporanea.
Oltre il borgo: il paesaggio che ispira
Appena fuori dalle mura, le colline di Dozza offrono panorami che sembrano usciti da un acquerello. Filari di viti, casali, cipressi e una luce che cambia a ogni curva. È facile capire perché tanti artisti abbiano trovato qui la loro tela ideale. Il paesaggio emiliano non ha la spettacolarità del mare o delle montagne, ma possiede una calma geometrica che invita all’osservazione, alla riflessione, al ritmo lento della creazione.
Il senso del muro
Forse la chiave più profonda del progetto sta proprio nel muro. Simbolo di separazione in tante culture, qui diventa linguaggio, superficie di incontro. Dozza insegna che anche ciò che divide può unire, se attraversato dal segno dell’arte.
Non a caso, molti visitatori raccontano di provare un senso di familiarità immediata, come se quei colori avessero sempre abitato le case. L’arte non è un’aggiunta, ma un’estensione naturale del borgo, come i mattoni o il profumo del pane dalle osterie.
Un’esperienza da vivere lentamente
Dozza non si visita in fretta. Va percorsa a passo d’uomo, con gli occhi che si lasciano guidare dalle forme e con il tempo di fermarsi a parlare con chi vi abita. Ogni incontro aggiunge un dettaglio, una storia, un aneddoto sulla nascita di un murale o sull’artista che lo dipinse.
Nei mesi estivi, le luci notturne rendono i colori più caldi e profondi, trasformando il borgo in un piccolo teatro di ombre e riflessi. Di sera, il silenzio delle colline fa da cornice a uno spettacolo che cambia a ogni stagione, ma resta sempre fedele a se stesso.
Dozza come metafora
Più che un luogo, Dozza è un’idea: quella di un’arte accessibile, condivisa e quotidiana. Un museo senza biglietto, dove la cultura non è qualcosa da ammirare in silenzio ma da abitare. È la prova concreta che la bellezza può convivere con la vita di tutti i giorni senza perdere il suo potere di meraviglia.
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