A inizi ‘900 l’arte comincia a cambiare. È un’arte non più improntata esclusivamente alla realizzazione del bello, né a una ricerca sui colori e sulla luce, ma è un’arte che indaga, che cerca di sondare l’inconscio e le pulsioni più nascoste dell’Io.
I primi a muoversi in questa direzione sono gli esponenti del Surrealismo, movimento nato nei primi anni ’20 e sviluppatosi intorno alla personalità dell’intellettuale francese André Breton. L’opera d’arte, come aveva dichiarato De Chirico, per essere tale e per essere immortale, deve uscire dai confini dell’umano, deve avvicinarsi al sogno e all’immaginario proprio dell’infanzia. I surrealisti si affidano dunque alla forza visionaria delle immagini, accostate spesso in modo casuale, prive di nessi logici, a imitazione dei metodi di “scrittura automatica”.
Pochi anni prima, sempre tra la fine dell”800 e l’inizio del ‘900, si sviluppa a Vienna un’altra interessante corrente artistica, quella del Secessionismo, che, anche se in maniera diversa, si dissocia dalle istituzioni ufficiali e si avvicina a un’arte che segua, per così dire, la “libertà”, intesa anche come libertà di rivelare realtà scomode e difficili da accettare.
Sulla facciata del Palazzo della Secessione a Vienna si legge: “Der Zeit ihre Kunst, der Kunst ihre Freiheit“, “al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”. Gustav Klimt fu il massimo esponente di questo movimento e con le sue opere fece suo questo “motto”, come possiamo vedere, per esempio, nel Fregio di Beethoven: l’arte può diventare riscatto dell’esistenza, unico luogo in cui trovare la felicità, data l’infelicità e la sfiducia nei confronti del presente.
Egon Schiele: colori lividi e corpi deformati come espressione del disagio della civiltà
Un artista che mostra un forte legame con il Secessionismo e con Klimt, che, non a caso, fu anche suo maestro, è Egon Schiele, esponente dell’Espressionismo austriaco. L’arte di Schiele è improntata non tanto a criticare la realtà del proprio tempo in modo diretto, quanto, piuttosto, a esplorare i territori dell’inconscio, dove, comunque, si ritrovano le tensioni della società contemporanea, una società che si cela dietro al lusso, dietro a un modo di vivere raffinato, ma che nasconde in realtà patologie, disagio, paure. Nei quadri di Schiele, che siano rappresentate città, paesaggi, donne nude, autoritratti, ciò che più colpisce sono i colori e le forme esasperate e contorte.
I colori lividi, il bianco dei corpi che risplende su uno sfondo dai colori cupi, spesso nero e verde (colore che rimanda, tra l’altro, all’assenzio, la droga diffusa tra gli artisti del periodo), i rossi accesi delle labbra, i corpi deformati e allungati, quasi fossero fatti solo di ossa, le mani sempre troppo grandi, ossute, nodose, sottolineano l’idea che gli uomini siano marionette malate, costrette in posizioni innaturali e sconnesse, che rendono visibile il loro lato più malato, più estremo.
I soggetti stessi esprimono questo disagio: bambini proletari, ragazze ossute e bianche, modelle spigolose, tutti in pose scomposte, spesso provocanti e che alludono indirettamente, ma molto più spesso in modo esplicito, alla sfera sessuale e alla morte e che Schiele usa come specchi di se stesso, per esprimere i propri disagi e instabilità.
Il suo stesso corpo diventerà soggetto dei quadri e verrà ritratto con un realismo estremo, impietoso ed esasperato, che non lascia niente all’immaginazione e che si pone in modo diretto, e per questo talvolta scomodo, di fronte allo spettatore. Nella prima versione di Colui che vede se stesso, l’artista si auto ritrae nudo. Dietro di lui è presente un’altra figura, un sosia, che lo stringe a sé, pronto a sussurrargli qualcosa di segreto e terribile e a manovrarlo come un burattino.
L’artista ha scavato così a fondo dentro se stesso da incontrare il suo alter ego, la sua parte oscura, che gli sussurra la follia, la morte, l’orrore che si annida dentro di lui. L‘artista si guarda allo specchio e si vede riflesso da solo con il suo assassino.
L’aspetto oscuro su cui più si concentrerà Schiele, quasi illustrando plasticamente le teorie freudiane, è l’Eros, visto nei suoi aspetti più terribili, distruttivi e strettamente legato a Thanatos, alla morte. L’Eros rappresentato da Schiele è molto diverso da quello di Klimt (il quale esalta più l’aspetto languido, estatico, vicino all’autocompiacimento): l’Eros non è dinamica vitale, ma è piuttosto una lebbra, una punizione. Questa visione così oscura derivava certo anche dall’ambiente dell’epoca, in cui vigevano ancora, da una parte, le salde e ferree regole morali, ma, dall’altra, una nascosta promiscuità notturna. L’individuo, costretto da regole rigide a porre freni alle pulsioni, poteva dare spazio al desiderio solo attraverso opzioni malsane: dissimulazione, frustrazione, trasgressione.
L’inquietudine che muove Egon Schiele è evidente sia in quadri come La madre morta (1910), nel quale la scena è completamente occupata dalla madre morta che stringe a sé il feto, in un ultimo disperato gesto d’amore verso il bambino ancora vivo e intrappolato nel ventre materno, sia in quadri come Gli amanti (1917). Qui il soggetto è, come dice il titolo, una coppia di amanti che si abbracciano su una coperta stropicciata.
La scena potrebbe sembrare a prima vista quasi rassicurante, serena: nessuna figura deformata, nessuna scena scandalosa o forte, ma un semplice abbraccio. E’ proprio l’abbraccio, però, a destare inquietudine: è infatti un rifugiarsi l’uno nell’altro, nascondendo i volti, per non vedere, per non essere visti, per nascondersi al mondo, quasi a ritornare nel grembo materno e sfuggire al baratro che attende i due amanti, rappresentato dal nero che circonda il lenzuolo.
Egon Schiele è un artista che riesce a creare un legame, un’empatia con lo spettatore e suscitare emozioni immediate. Non necessariamente i suoi quadri devono piacere, ma riescono a colpire; sono quadri per molti aspetti fastidiosi, angosciosi, ritenuti spesso scandalosi e che ci mostrano lati di noi che cerchiamo in ogni modo di celare: Schiele li mette sotto una lente d’ingrandimento, li ingigantisce, ponendoli su una tela e mostrandoli al mondo intero.