Enzo Jannacci se n’è andato come oggi, il 29 marzo di ormai nove anni fa, alle venti e trenta come sottolineò compìto, lo scarno comunicato stampa che ne seguì.
Chissà che canzone avrebbe scritto per sé legandosi a quella circostanza, senz’altro dissacrante per sdrammatizzare ma allo stesso tempo con qualche significato più profondo da cogliere dopo più di qualche ripetuto ascolto.
Era così Enzo Jannacci, dal sorriso aperto, scevro da costrizioni che rifletteva un animo completamente votato allo spettacolo ma nella sua accezione più libera.
Si perché per Enzo Jannacci, la vena artistica era un irrinunciabile passatempo anche se per buona parte della sua vita lo ha visto dedicarcisi anima e corpo.
Aveva saputo domare negli anni l’equivalente di due cavalli da corsa, nascosti nella sua anima dalle mille sfumature, entrambi della massima categoria ma che gioco forza il destino imponeva loro di cimentarsi su percorsi profondamente diversi.
Enzo Jannacci e la sua vita tra bisturi e pianoforte
Cabarettista per vocazione, Enzo Jannacci era un medico che nel 1968 prese armi e bagli, forse lasciando anche l’inseparabile chitarra, e partì alla volta di Città del Capo dove ad attenderlo c’era un percorso di specializzazione con il Professor Barnard, primo chirurgo al mondo che riuscì nell’epica impresa di portare a termine con successo un trapianto di cuore.
Enzo Jannacci assaporò in quell’esperienza quanto sa essere seria la vita ma al contempo ne ha tratto l’insegnamento forse più forte di tutti e cioè che va presa seriamente con allegria.
E così fece per tutta la vita, portando avanti esattamente di pari passo la sua professione di cardiologo e la sua esperienza artistica che in alcuni segmenti seppe essere decisamente travolgente regalandogli successi strabordanti.
Personalità camaleontica, semplice e allo stesso tempo determinata quella di Enzo Jannacci che come detto riesce a raccogliere in un’unica persona interessi così apparentemente distanti.
E’ musicista, intraprendente interprete della moda del momento tanto da lanciare il mitico Rock and Roll in Italia, quindi attore e dissacrante portavoce dei mugugni popolari attraverso le sue canzonette, in un’epoca in cui parlare apertamente su certi temi, portava a suìcura censura.
Censura che subì per esempio al Festival di Sanremo e fu per certo l’abito più stretto che la vita gli impose di portare ma fino ad un certo punto poiché a quella restrizione di pensiero, il nostro Enzo Jannacci reagì impegnandosi maggiormente nei suo studi medici che in effetti dopo la laurea aveva forse un po’ tralasciato.
Un bagno di concretezza che seppe tenerlo poco lontano da quel mondo che gli era cucito addosso come una seconda pelle, portandolo dopo l’esperienza sudafricana e quella americana di studi impegnativi, a tornare più in forma che mai a calcare i palcoscenici.
Valutamente non ho citato nessuno dei suoi compagni sulla strada dell’arte poichè sarebbe riduttivo e irriverente relegare ogni singolo sodalizio a qualche parola.
Enzo Jannacci va ascoltato e non solo una prima volta perché come detto, le sue canzoni mostrano il loro vero volto dopo un po’, quando il ritmo coinvolgente lascia in seconda battuta, aperto quello spiraglio per poter cogliere la vera essenza di ogni parola nei testi di Enzo Jannacci, che non sono mai lì per essere per davvero quello che sembrano.
Perché nella vita:
Bisogna avere orecchio
Bisogna avere il pacco
Immerso dentro al secchio
Bisogna averlo tutto
Anzi parecchio
Per fare certe cose
Ci vuole orecchio
Enzo Jannacci muore a Milano il 29 marzo 2013, dopo un periodo di malattia, all’età di 77 anni e mai lasciato solo dai familiari, con la moglie Giuliana sposata nel 1967 e il loro figlio Paolo nato nel 1972, anch’egli musicista e direttore d’orchestra.
Il Comune di Milano, per la sua sepoltura rese subito disponibile il Famedio del Cimitero Monumentale.
Sulla lapide è stata scolpita l’essenza della sua vita terrena con l’incisione delle due parole “medico” e ” musicista” sulla stessa riga.