Il Castello del Buonconsiglio di Trento ospita una rassegna dedicata alla pittrice Fede Galizia, personalità di spicco della pittura italiana del primo Seicento (visitabile fino al 24 ottobre 2021). Attraverso ottanta opere fra cui dipinti, disegni e incisioni, si articola una mostra di studio dall’originale allestimento per stanze scenografiche, che indaga la sostanza della poetica dell’artista nella Milano dell’epoca.
La mostra Fede Galizia. Mirabile pittoressa contestualizza il lavoro della stessa all’interno del panorama artistico del Seicento italiano, prestando particolare rilevanza alla pittura femminile, in un avvincente confronto con le opere di altri pittori e pittrici.
Fede Galizia, in mostra al Castello del Buonconsiglio di Trento
Nell’Italia del Seicento la pittura al femminile ebbe una grande risonanza rispetto al Rinascimento. In primis fu Artemisia Gentileschi ad aprire la strada alla nuova concezione che anche le donne potessero ricoprire il ruolo di artisti.
Si avviò lentamente un nuovo contesto artistico e sociale, in cui le donne interruppero con la tradizione patriarcale della bottega d’artista e fecero della pittura il loro mestiere, aiutate nello scopo anche dalla convinta aderenza alla causa della Riforma romana.
Fede Galizia: biografia e carriera artistica
Fede Galizia – figlia del miniaturista Nunzio Galizia – nacque a Milano nel 1578 (?). Iniziò sin da piccola a lavorare presso la bottega del padre, esercitandosi e facendo pratica nell’incisione e nella miniatura, riconoscendosi all’interno di questo scenario e facendone la proprio strada professionale.
Milano era già all’epoca famosa in tutta Europa per la raffinatezza delle sue produzioni; il padre di Fede Galizia ottenne un notevole successo commerciale grazie alla produzione di raffinati ventagli in seta e piume, incisioni per libri di pregio, gioielli, abiti e miniature.
Al pari di Sofonisba Anguissola, Plautilla Nelli, Barbara Longhi, Lavinia Fontana fu tra le protagoniste della pittura al femminile. I suoi punti di riferimento furono i lavori di Parmigianino e Correggio, ma seppe in ogni caso sviluppare un suo stile personale che perfezionò esercitandosi a copiare le opere dei maestri dell’epoca.
Fra le sue opere ci sono soprattutto ritratti e scene di soggetto religioso, ma è conosciuta anche per le innumerevoli nature morte. Il suo stile – prossimo al Manierismo emiliano-lombardo del XIV secolo, le consentì di entrare nel panorama milanese grazie ad una sapiente politica di amicizie e conoscenze. A tal proposito, realizzò ritratti di importanti personalità cittadine, come ad esempio il protofisico Ludovico Settala e il letterato gesuita Paolo Morigia.
Fede Galizia – Giuditta e Oloferne
È specialmente dal ritratto che emerge un certo naturalismo nella forte caratterizzazione fisiognomica. Fu la prima pittrice a scontrarsi con la difficile iconografia di Giuditta e Oloferne: la sua opera, con grazia tutta femminile, è più incline alla cura delle vesti e dei gioielli della protagonista, piuttosto che sulla tragicità della scena. Difatti, la testa del protagonista appare in ombra rispetto a Giuditta che, al contrario, risplende nel suo sfolgorante e sontuoso abito.
Fede Galizia – Noli me tangere
Allo stesso modo curatissima nelle vesti e nell’acconciatura appare la Maddalena del Noli me tangere, opera molto complessa e dalla forte connotazione narrativa che, ciò nonostante, è smorzata nel naturalismo, in ossequio allo ieraticismo del clima dottrinale controriformato.
Fede Galizia – le nature morte
La Canestra di Caravaggio spinse la Galizia verso il tema della natura morta, di cui fu, con Giovanna Garzoni, la più abile interprete in Italia, dopo il Merisi. Nonostante avesse fatto a meno degli artifici dei suoi colleghi, e uniformandosi alla sobrietà e alla severità imposte dalla Riforma romana, le sue opere non sono però inferiori quanto a perizia tecnica.
Raffigurati con pennellate dense e con rapidi tocchi di ombre e luci, i suoi frutti sono di frequente al limite della marcescenza, sfiorati da insetti, nella loro funzione allegorica di riflessione sulla fugacità dell’esistenza, ma pervasi ciò nonostante di profondo realismo.