L’11 marzo 2011 un forte terremoto, con epicentro al largo della costa orientale del Giappone, ha provocato un imprevedibile tsunami, che ha devastato per sempre la vita di Fukushima, scatenando un enorme disastro nucleare. Questo disastro nucleare è secondo solo al disastro di Chernobyl del 26 aprile 1986.
A Fukushima una serie di esplosioni diede origine al terzo grande incidente nucleare della storia. I primi due incidenti nucleari sono: quello del 1979 a Three Mile Island in Pennsylvania, e quello del 1986 a Chernobyl in Ucraina (allora Unione sovietica). Il disastro di Fukushima non è stato ancora superato. Infatti, l’ultimo rapporto, comunicato pochi giorni prima dell’anniversario, lancia nuovamente l’allarme: i livelli di contaminazione radioattiva sono ancora alti.
Cosa successe a Fukushima
Ma i protocolli di sicurezza non prevedevano la possibilità di uno tsunami. Un’ora dopo il terremoto, un’onda alta 14 metri devasta Fukushima e la centrale nucleare. Agenzia internazionale per l’energia atomica classificò come «catastrofico», livello 7 (il più alto), secondo la sua scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici. Soltanto l’incidente di Chernobyl era stato inserito nella stessa categoria.
L’inadeguatezza dei sistemi di sicurezza della centrale di Fukushima portò alla parziale fusione dei noccioli di tre dei suoi reattori. Le successive esplosioni diffusero polveri radioattive per chilometri attorno alla centrale e costrinsero decine di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case per anni.
L’acqua inondò rapidamente le stanze basse in cui erano alloggiati i generatori di emergenza. I generatori diesel allagati hanno subito un guasto poco dopo, con conseguente perdita di potenza alle pompe d’acqua di raffreddamento. Queste pompe erano necessarie per far circolare continuamente l’acqua di raffreddamento attraverso i reattori di Generazione II per diversi giorni per prevenire la fusione delle barre di combustibile, dato che esse continuavano a generare calore di decadimento dopo lo SCRAM.
Le barre di combustibile diventerebbero abbastanza calde da fondersi durante il periodo di decadimento del carburante se non fosse disponibile un adeguato dissipatore di calore. Dopo che le pompe di emergenza secondarie (gestite da batterie di back-up) si furono esaurite, un giorno dopo lo tsunami del 12 marzo, le pompe dell’acqua si fermarono e i reattori iniziarono a surriscaldarsi.
Mentre i lavoratori cercavano di fornire energia ai sistemi di raffreddamento dei reattori e ripristinare l’energia nelle loro sale di controllo, si verificarono una serie di esplosioni chimiche di aria e idrogeno, la prima nell’unità 1 il 12 marzo e l’ultima nell’unità 4, il 15 marzo. Si stima che la reazione di rivestimento d’acqua calda di zirconio nei Reattori 1-3 producesse da 800 a 1000 chilogrammi di gas idrogeno ciascuno.
Il gas pressurizzato è stato scaricato dal recipiente a pressione del reattore dove è stato miscelato con l’aria ambientale e alla fine ha raggiunto i limiti di concentrazione esplosivi nelle Unità 1 e 3. A causa delle connessioni tra le Unità 3 e 4, o in alternativa dalla stessa reazione che si verifica nella piscina di stoccaggio esaurito nell’unità 4 stessa, l’unità 4 si riempì di idrogeno, provocando un’esplosione.
In ciascun caso, le esplosioni di aria e idrogeno si sono verificate nella parte superiore di ogni unità, che si trovava nei loro edifici di contenimento secondario superiore. Un drone sorvolò il 20 marzo e in seguito catturò immagini chiare degli effetti di ogni esplosione sulle strutture esterne, mentre la vista all’interno era in gran parte oscurata da ombre e detriti.
In concomitanza con le ben note implicazioni di una perdita di incidente del refrigerante, il raffreddamento insufficiente alla fine ha portato a crolli nei Reattori 1, 2 e 3. La piena estensione del movimento del corium risultante è sconosciuta, ma ora è considerata almeno attraverso il fondo di ciascun recipiente a pressione del reattore (RPV), che risiede da qualche parte tra la stessa e la falda freatica sotto ciascun reattore, in modo simile a quanto osservato nel reattore 4 di Cernobyl.
Fukushima oggi: 11 anni dopo il disastro nucleare
Dopo lo tsunami del 2011, i lavori per rimuovere il materiale radioattivo dalla zona di Fukushima non si sono mai fermati. Secondo un rapporto, la Tepco (Tokyo Electric Power Company) prevede che ci vorranno ancora altri trent’anni di lavoro per recuperare tutte le barre di combustibile non danneggiate, quello che si era fuso, smontare i reattori e gestire l’acqua contaminata. Secondo il governo giapponese, smantellare la centrale costerà in totale l’equivalente di 64 miliardi di euro, ma i tempi e di conseguenza i costi potrebbero essere maggiori.
Secondo Greenpeace, il governo giapponese dovrebbe abbandonare l’uso dell’energia nucleare, e puntare verso le fonti di energia fossile:
Per porre fine a 10 anni di inganni e rimediare agli errori compiuti fino ad oggi, il governo giapponese dovrebbe fornire un giusto risarcimento ai sopravvissuti di Fukushima e rivedere il suo piano energetico per dare finalmente priorità alla sicurezza della popolazione. Ha un solo modo per farlo: eliminare per sempre l’energia nucleare (come chiedono tra l’altro la maggior parte dei cittadini giapponesi), e rinunciando a sostituirla con fonti di energia fossile che alimentano la crisi climatica in corso, ovvero con nuove centrali a carbone.
Guardando agli scenari futuri, il governo giapponese può e deve decidere di investire in fonti di energia rinnovabile decentralizzate che siano relativamente resistenti ai terremoti e ad altri eventi meteorologici estremi. Solo così può mettere al sicuro i suoi cittadini ed evitare che disastri come Fukushima si ripetano ancora.
Un sondaggio del quotidiano Asahi di febbraio ha rivelato che a livello nazionale il 53% della popolazione è contrario al riavvio dei reattori, rispetto al 32% a favore. A Fukushima, solo il 16% si è detto favorevole.
Dopo il disastro nucleare e dopo 10 anni, iniziamo a vedere le ripercussioni, non solo sull’ambiente, ma in particolar modo sulla salute dei giovani abitanti nipponici, Secondo l’ONU, in particolare secondo il comitato scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomiche (Unscear), le radiazioni causate dal disastro nucleare di un decennio fa non hanno danneggiato la salute della popolazione locale.
Ma è davvero così? Dopo l’incidente di Fukushima, sono aumentate le segnalazioni di un’alta incidenza di cancro alla tiroide nei bambini che vivevano nella prefettura di Fukushima al momento del disastro. Unscear e altri esperti hanno attribuito i tassi più elevati di questo tipo di tumore all’uso di apparecchiature a ultrasuoni altamente sensibili e al gran numero di bambini che sono stati esaminati:
Sulla base delle prove disponibili, il grande aumento del numero di tumori della tiroide rilevati tra i bambini esposti non è il risultato dell’esposizione alle radiazioni. Piuttosto, sono il risultato di procedure di screening ultrasensibili che hanno rivelato la prevalenza di anomalie della tiroide nella popolazione non rilevate in precedenza.
Secondo Gerry Thomas, direttore della Chernobyl Tissue Bank, che non è per nulla sorpreso da questa affermazione, i motivi della reazione dell’Unscear vanno ritrovati nel paragone che l’ente ha fatto tra gli effetti post disastro di Fukushima e gli effetti post disastro di Chernobyl:
Le dosi di radiazioni tiroidee dopo Fukushima erano circa 100 volte inferiori rispetto a quelle di Chernobyl a causa di una serie di fattori.
Dobbiamo aspettare ancora per avere delle risposte e vedere i risultati che nasceranno dalla collaborazione tra governo e popolo nipponico e le istituzioni internazionali. Intanto i Giapponesi non perdono l’occasione per ricordare le vittime, i lavoratori e tutte le persone che hanno cercato di impedire il disastro di Fukushima.