Nella città di Roma, contornata dal vasto parco, il casino che ospita la Galleria Borghese, sboccia in tutto il suo splendore architettonico, già al primo sguardo in lontananza mentre, tra viali alberati, ci si incammina verso le mura Aureliane, in direzione di Porta Pinciana.
Appartenente alla famiglia senese dei Borghese, la villa con annesso parco di circa ottantamila ettari, venne acquistata dallo stato italiano nel 1901 e due anni dopo, donata al comune di Roma che ne cambiò il nome, sulla base delle sopravvenute circostanze, in “Villa comunale Umberto I, già Borghese” ma i romani e forse ispirati da certa saggezza popolare, non smisero mai chi chiamarla Villa Borghese.
Galleria Borghese: uno scrigno senza eguali al mondo
Tra le collezioni più pregiate al mondo, risulta essere la più sontuosa quanto ad importanza di opere d’arte ospitate nelle sale e nei depositi, anch’essi visitabili su prenotazione, riguardo alle opere soprattutto di Caravaggio e del Bernini, tanto che all’unanimità, quelli presenti nella Galleria Borghese, sono definiti in assoluto i massimi capolavori dei due artisti.
Il nuovo assetto dato alla Galleria Borghese, dopo un restauro durato ben quattordici anni dal 1983, prevede che le sculture di maggior pregio, trovino posto al centro della sala che le ospita, così da garantire al visitatore una visione più completa e partecipativa.
Galleria Borghese, Sala degi Imperatori: il Ratto di Proserpina, l’impronta del mito scolpita nel marmo
Nella Sala degli Imperatori, con un’altezza dal basamento di due metri e mezzo circa, il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini, irrompe in tutta la sua bellezza quasi irradiando lo spazio circostante in una sorta di fermo immagine che dura ormai da secoli.
La bellezza delle forme riprodotte con una sopraffina tecnica scultorea, fa rivivere l’essenza del mito in quello che è il momento più terribile da esso narrato, risucchiando letteralmente il visitatore nel pathos che la scena rappresenta.
Il mito
Proserpina, bellissima ninfa figlia di Cerere, dea delle messi, sulle rive del ceruleo lago di Pergusa, venne rapita dal dio degli Inferi Plutone, con il consenso di Giove. Per nove giorni e nove notti la dea Cerere cercò invano notizie di sua figlia poiché nessuno aveva il coraggio di dire la verità. Al decimo giorno, il sole ebbe pietà di lei e le raccontò l’accaduto. Annientata dal dolore Cerere si rifugiò in un tempio a lei dedicato senza più uscirne.
Così, senza l’influenza della dea delle messi, la natura sembrò fermarsi e a nulla valsero i messaggeri inviati da Giove affinché la dea tornasse a svolgere il suo ruolo.
Solo quando le fu accordato di poter tenere con sé sua figlia, anche se solo per sei mesi l’anno, la natura tornò a fiorire e così ciclicamente ogni anno da quel giorno.
Quando la ninfa Proserpina torna ad abbracciare sua madre, si risveglia la primavera.
La scena troneggia nella Sala degli Imperatori della Galleria Borghese, colta dal Bernini nel suo momento più tragico, estratta dal marmo già intrisa di quel lancinante dolore urlato da Proserpina nell’estremo tentativo di salvarsi.
Ed ecco che magistralmente, in due piccoli particolari, il Bernini veicola, in chi appoggia lo sguardo sul gruppo scultoreo, tutta la drammaticità di quell’attimo che altrimenti sarebbe stato sfuggente, regalandolo così all’eternitá: le dita di Plutone che affondano nelle giovani carni della ninfa Proserpina, nel riuscito atto di estrema costrizione e la lacrima che riga la guancia di quest’ultima.
Tutto racchiuso in una lacrima di marmo, scolpita da Gianlorenzo Bernini, il grido di Proserpina nel momento del suo rapimento. Già di per sé aberrante come atto ma ancora più terribile, poiché perpetrato dal signore degli Inferi, per scendere di fatto nel regno dei morti.
Un’esperienza, quella della visita alla Galleria Borghese, sempre nuova poiché ogni volta si possono cogliere particolari e sfaccettature magari non focalizzati in precedenza, ma in questo periodo, come sottolinea la direttrice Anna Coliva, con l’ingresso contingentato si ha di fatto la possibilità di accedere alla struttura, quasi in regime di “visita privata”, opportunità già usufruita in passato e in tempi più recenti, da grandi magnati stranieri, non senza esborso di cifre da capogiro.
Orbene direi che puoi tuffarti in questo mare di cultura tra sculture e dipinti con l’allure di chi è appena atterrato da Honolulu con il suo volo privato.
Io vado e tu ?