Nel cuore di Teramo, una mostra fotografica racconta Gaza con gli occhi di chi ci vive. Tra scatti di guerra e disegni infantili, un grido visivo che non lascia indifferenti
Cosa resta della realtà, quando la guerra diventa quotidianità? A questa domanda risponde la mostra I Grant You Refuge – Fotografie da Gaza, allestita a Teramo fino al 7 settembre 2025. Ma non lo fa con parole, lo fa con immagini. E con i volti.
L’esposizione, ospitata nelle sale dell’Arca, della Pinacoteca Civica e dell’ufficio Iat, ci chiama a guardare senza filtri la vita sotto le bombe, attraverso gli scatti di sei fotografi palestinesi che raccontano il loro mondo. Non come lo vediamo nei telegiornali, ma come lo vivono ogni giorno.
Sei obiettivi, una sola voce: Gaza
Shadi Al-Tabatibi, Mahdy Zourob, Mohammed Hajjar, Saeed Mohammed Jaras, Omar Naaman Ashtawi e Jehad Al-Sharafi sono i nomi dietro le fotografie esposte. Ciascuno di loro ha scelto di documentare la propria terra con la macchina fotografica, trasformandola in uno strumento di resistenza, di testimonianza, ma anche di dignità. I loro scatti mostrano case sventrate, sguardi persi, mani che si stringono nel vuoto.
È una narrazione visiva che non chiede pietà. Chiede attenzione. E responsabilità.
L’iniziativa, prodotta dal Comune di Ravenna e curata da Paolo Patruno, è ospitata dal Comune di Teramo con il patrocinio di Anci nazionale, Regione Abruzzo, Provincia e Università di Teramo. Ma ciò che più colpisce è come questa rete istituzionale sia stata messa al servizio dell’umanità, non della retorica.
“Gaza è una terra che sogna, anche sotto le bombe”

Durante l’inaugurazione, il fotografo Shadi Al-Tabatibi ha commosso tutti i presenti. Il suo intervento non è stato un discorso, ma un dolore condiviso:
“Gaza è una terra piena di dolore ma che si rifiuta di smettere di sognare. Oggi i bambini non riescono a dormire nemmeno cinque minuti per i bombardamenti. Il popolo di Gaza vive un massacro, un genocidio.”
Queste parole non cercano approvazione. Cercano coscienza. Non una presa di posizione politica, ma uno scatto di umanità.
Al centro della mostra c’è anche un video realizzato dal reporter palestinese Mahomud Isleem, rimasto ucciso durante il conflitto. Il suo sguardo, ora silenzioso, continua a parlare attraverso ciò che ha lasciato. E il titolo dell’intera esposizione, I Grant You Refuge, prende ispirazione da una poesia della scrittrice Hiba Abu Nada, morta a Khan Yunis nel 2023. Versi che oggi risuonano come un testamento collettivo.
I disegni dei bambini, più forti delle bombe
Ma forse la sezione più disarmante della mostra è quella intitolata HeArt of Gaza. Qui, appesi accanto alle fotografie, ci sono i disegni dei bambini. Case, fiori, aerei da guerra. Mani che si cercano, occhi che piangono. Colori che provano a ricostruire un mondo che gli adulti hanno distrutto.
Alcuni di questi bambini, ci viene detto, non ci sono più. Eppure, sono tutti presenti. I loro tratti incerti sono diventati memoria. E memoria significa resistenza.
Cultura come atto politico
Tra i tanti interventi istituzionali, quello del sindaco Gianguido D’Alberto ha ricordato come i Comuni, spesso considerati marginali nelle scelte globali, abbiano invece un potere concreto: accogliere, educare, prendere posizione. Gli ha fatto eco il professor Guido Saraceni, che ha definito Gaza “unico esempio di crudeltà senza paragoni”.
Presenti anche Emergency, Amnesty International, CGIL, Sai Teramo, i volontari del Patto per la Lettura e molte altre realtà del territorio. Una rete che, per una volta, non si limita al patrocinio ma si fa partecipazione viva.
E poi c’è stato spazio anche per la musica: Elena Calaudi, voce del conservatorio Braga, ha portato una pausa fragile ma necessaria in mezzo al dolore visivo. Un sollievo che non dimentica, ma accompagna.
Guardare è un atto politico
Questa non è una mostra da visitare con leggerezza. Non è nemmeno una mostra “bella”, nel senso canonico. È una mostra necessaria. Perché ci mette davanti a una verità che non possiamo ignorare, per quanto distante o scomoda ci appaia.
Attraverso la fotografia, la poesia, il disegno e la testimonianza diretta, I Grant You Refuge ci chiede di non girare lo sguardo. Di restare. Di ascoltare. Di ricordare.
E tu, sei pronto a farlo?
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