C’è qualcosa di ipnotico nei labirinti. Ti invitano a entrare, ma non promettono l’uscita. Ti fanno girare in tondo, perdere l’orientamento, ma poi – se ti fidi – ti portano da qualche parte. E nei secoli passati, molti artisti, architetti e religiosi hanno usato questa forma per rappresentare il viaggio dell’anima.
Scolpiti su pavimenti di cattedrali, tracciati con ciottoli nei chiostri o costruiti in giardini nascosti, i labirinti in pietra sono più diffusi di quanto si pensi. E non sono solo un esercizio estetico: sono mappe interiori, disegni per chi cerca qualcosa che va oltre.
Dove si trovano

Il più famoso è forse quello della cattedrale di Chartres, in Francia: 261 metri di cammino tracciato in un’unica linea continua, incastonata nel pavimento. Non si tratta di un “rompicapo”: non ci sono bivi, solo un percorso da compiere fino al centro.
Anche in Italia ce ne sono diversi, spesso meno noti:
- A Lucca, nella cattedrale di San Martino, un piccolo labirinto è scolpito su una colonna.
- A Ravello, in Campania, il giardino di Villa Cimbrone ospita un labirinto verde ispirato ai disegni medievali.
- In Sardegna, alcuni nuraghi sembrano ispirarsi a strutture concentriche simili.
Questi luoghi non sono mai messi lì per caso. Chi li ha pensati, voleva costruire un’esperienza, non solo uno spazio.
Non si esce, si entra
A differenza dei labirinti delle fiabe o dei film, quelli sacri non hanno l’obiettivo di perdersi, ma di compiere un percorso. In molti casi, i fedeli lo percorrevano in ginocchio, in silenzio, come atto di penitenza o meditazione.
Entrare nel labirinto significava simbolicamente entrare in se stessi. Uscirne non era la vittoria, ma la trasformazione.
E proprio qui sta la forza di questa forma: la geometria è spirituale, ogni curva ha un senso, ogni svolta è parte del viaggio.
Arte nascosta, ma viva
Oggi molti labirinti sono dimenticati, coperti da restauri, trascurati nelle visite turistiche. Ma chi li cerca, li trova. E spesso resta colpito dalla loro forza silenziosa.
Fotografi, performer e artisti contemporanei li stanno riscoprendo come luoghi di esperienza corporea. Alcuni usano i labirinti per camminate rituali, altri li fotografano in bianco e nero per farne icone moderne di introspezione.
E la cosa più sorprendente? Anche i bambini, senza sapere nulla, entrano e cominciano a camminare. Senza fretta. Senza chiedere cosa devono fare. Perché il labirinto parla a un livello che precede la spiegazione.
Perché ci affascinano ancora
Forse perché in un mondo fatto di scelte rapide, percorsi veloci e soluzioni immediate, il labirinto ci obbliga a rallentare, a perderci, a non sapere.
Forse perché ci ricorda che non tutto va capito subito. Che esistono strade lunghe, curve lente, movimenti circolari che ci riportano proprio dove dovevamo arrivare.
E magari, in quel giro apparentemente inutile, c’è la parte più vera del cammino.
Hai mai camminato dentro un labirinto? O scoperto per caso uno di questi disegni scolpiti tra le pietre?
Scrivicelo nei commenti o raccontacelo su Instagram: ci sono viaggi che iniziano con un passo lento e senza fretta. E continuano anche quando si esce.