Si scrive Peggy Guggenheim, si legge collezionismo elevato alla sua massima potenza. La dinastia Guggenheim è celebre in tutto il mondo, Peggy nasce nel 1898, figlia di Benjamin, settimo figlio di Meyer Guggenheim, il quale, insieme al padre e i fratelli, fondò la società di famiglia, impegnata nell’estrazione e lavorazione dei metalli e Florette Seligman, ereditiera di una delle più importanti famiglie di banchieri di New York.
Facendo parte di una famiglia del genere, il tuo destino non può che incrociarsi con la Storia, il padre morì nel 1912 nel naufragio del Titanic, lo zio fondò nel 1937 la Fondazione Solomon R. Guggenheim, creata per far conoscere l’arte e divulgarla attraverso i musei, cominciando da quel Guggenheim museum a New York noto in tutto il mondo.
Per quanto riguarda lei, ebbe una vita intensa e ricca, divisa tra l’Europa e l’America, con l’arte sempre in primo piano, celebrata attraverso le amicizie con artisti dell’epoca (quella con Marcel Duchamps durò tutta la vita) e la passione per l’arte moderna di cui diventò una delle principali collezioniste e mecenate.
Domani si apre presso Palazzo Venier dei Leoni, sede della Peggy Guggenheim collection, la mostra Migrating objects che punta l’attenzione su un aspetto meno conosciuto della Peggy collezionista, la passione per l’arte etnica, proveniente da Africa, Oceania, Sud America e i manufatti delle culture indigene americane. Un giro del mondo in 35 opere che celebrano il suo amore per l’arte.
Migrating objects, Peggy Guggenheim collection, Palazzo Venier dei Leoni
La mostra è curata da un comitato scientifico che include esperti di arte etnica e moderna (Christa Clarke, studiosa delle arti dell’Africa e Fanny Vonu Wiess, curatrice per l’Oceania del National Museum of world cultures di Amsterdam, tanto per citarne due) nonchè Viven Green, senior curator del Guggenheim museum di New York che ha anche curato il catalogo dell’esposizione e rimarrà aperta fino al 14 giugno prossimo.
Le 35 opere verranno esposte per la prima volta al pubblico e rivelano un aspetto meno conosciuto della famosa mecenate. La scelta è stata quella di raggrupparle in modo da privilegiare i contesti originari o, per contrasto, di far dialogare alcune di esse con capolavori delle avanguardie europee i cui autori presero come ispirazione proprio questo tipo di culture.
Al visitatore si presenta un “viaggio” attraverso i continenti, spaziando tra statue e maschere africane e dell’Oceania, per passare a terracotte provenienti da paesi del Sud America, fino ad arrivare ai manufatti dei Nativi americani.
Il comitato scientifico ha impiegato ben due anni e mezzo per preparare questa esposizione. Le ricerche sono state lunghe e laboriose e hanno portato anche all’attribuzione di alcune opere, come per esempio una maschera corpicapo proveniente dalla Nigeria, attribuita all’atelier di Oniyide Adugbologe. Il lavoro si è incentrato soprattuto nel riattribuire il significato originario ai manufatti, troppo spesso interpretati secondo la cultura occidentale ed esposti in modo contraddittorio rispetto al loro vero utilizzo.
Gli studiosi non si sono limitati a capire l’origine degli oggetti e il loro uso, ma ne hanno anche ricostruito l’intreccio formatosi attraverso migrazioni, colonizzazioni e, come già detto, le reinterpretazioni, non per niente la mostra è patrocinata dall’ UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) che attraverso la sua Senior Public Information Officer, Carlotta Sami, ha dichiarato:
“Questa mostra rappresenta un’opportunità d’eccezione per UNHCR per continuare a informare e migliorare la percezione che il grande pubblico ha dei rifugiati: non solo persone disperate in cerca di protezione ma prima di tutto individui costretti alla fuga portatori di un importante bagaglio di cultura, talento e sogni da mettere a disposizione dei Paesi che li accolgono.
Così gli oggetti d’arte di paesi apparentemente lontani dialogano con opere di artisti occidentali introducendo una consapevolezza maggiore del fatto che le idee migrano con le persone e con esse si ibridano, su un piano di pari dignità e valore. Esiste una terza via alternativa ai poli chiusura e assimilazione, ed è quella più moderna: quella di una società in cui già adesso, ogni giorno, culture e linguaggi sono multipli, in cui ancora il nostro modo di vivere influenza ciò che è ‘non occidentale’ e al contempo è da esso costantemente influenzato e modificato, dando vita a un’inestimabile ricchezza di idee e visioni”.
Una collezione decisamente all’avanguardia, racccolta in tempi non sospetti (buona parte delle opere fu acquistata negli anni ’50 e ’60). Ancora una volta Peggy Guggenheim si è rivelata una donna eccezionale, mai al passo con i tempi, ma sempre almeno dieci passi avanti ad essi!