#icantbreath è diventato virale. Il mondo intero è rimasto scosso di fronte al video in cui il cittadino americano George Floyd è stato barbaramente ucciso da un poliziotto lo scorso 25 maggio.
George era un cittadino di colore e come molti suoi connazionali neri, ha subito il razzismo dei bianchi d’America.
Dal 1807 ad #icantbreath
La battaglia che il popolo afroamericano ha dovuto affrontare re per raggiungere la parità dei diritti negli Stati Uniti d’America, è stata lunga e sanguinosa.
Nel 1807 dopo una guerra civile che aveva visto gli stati americani divisi in due fazioni, nordisti e sudisti, il Congresso decretò la fine della schiavitù nel Nuovo Continente. Tuttavia l’accettazione della diversità dovuta al colore della pelle doveva tramutarsi in cultura, la legge era una base importante, ma non certo sufficiente anche perché quello era solo il primo passo per l’ottenimento dei diritti di cui godevano i bianchi.
Nel 1860, nonostante 30 anni prima la tratta degli schiavi fosse stata abolita e paragonata alla pirateria, di fatto il commercio degli schiavi non si era ancora fermato.
Nel 1863 Abraham Lincoln, presidente americano, attraverso il Proclama di Emancipazione, dichiarò che tutti i cittadini neri, sotto il controllo federale diretto, venivano considerati definitivamente cittadini liberi, tuttavia, non abolì totalmente lo schiavismo, così come si intuisce da questo estratto del suo discorso di insediamento:
“io non sono né ho mai voluto assegnare il diritto di voto o creare Grand jury di negri, né qualificarli a tenere un qualsiasi ufficio pubblico, né di interagire con i bianchi attraverso il matrimonio interrazziale, tanto quanto me qualunque uomo è a favore della posizione superiore assegnata alla razza bianca”. Abraham Lincoln
All’inizio del 900 la situazione non migliorò affatto e i neri, ma non solo loro, anche le altre etnie emigrate in America e il ceto bianco povero, furono mantenuti lontano dai pubblici impieghi.
Nacquero anche frange estremiste come il Ku Klux Klan, associazioni di cittadini americani bianchi, su base terroristica, che seminavano violenza e paura, con spedizioni punitive ai danni delle altre etnie.
Nel 1909 nacque la National Association for the Advancement of Colored People, la prima associazione organizzata che si batté per i diritti civili dei neri:
Promuovere l’uguaglianza dei diritti ed eradicare i pregiudizi di casta o razziali tra i cittadini degli Stati Uniti; promuovere gli interessi dei cittadini di colore; assicurare loro il diritto di voto; aumentare le loro opportunità di ricevere giustizia in tribunale, educazione per i bambini, un impiego in accordo alle proprie abilità e completa uguaglianza dinanzi alla legge.
Nel 1963 il Ku Klux Klan fece esplodere la facciata di una chiesa e nell’attentato persero la vita 4 ragazzini afroamericani: Carole Robertson (14 anni), Cynthia Wesley (14 anni), Denise McNair (11 anni) e Addie Mae Collins (14 anni).
Due settimane dopo Martin Luther King guidò la Marcia su Washington per il lavoro e la libertà, al quale seguirono una serie di leggi per l’abbattimento delle differenze razziali, tra le quali il diritto al voto che fu approvato solamente nel 1965.
Purtroppo però la popolazione nera americana ha continuato a subire profondi atti di razzismo fino ad oggi e gli attori principali delle violenze sono stati, sovente, proprio i poliziotti statunitensi, ma si sa, occhio non vede e cuore non duole.
La differenza sostanziale nella morte di George Floyd è proprio nell’evidenza del fatto accaduto sotto gli occhi di milioni di persone che ne hanno visto l’arresto su internet e che hanno potuto udire il suo appello disperato #icantbreath (I can’t breath – non posso respirare) rivolto al poliziotto che imperterrito lo ha bloccato per 9 minuti, tenendogli il ginocchio sul collo e in seguito al quale sarebbe sopraggiunta la morte.
La rabbia nei cittadini americani è montata dopo la morte dell’uomo e dopo che il medico legale avrebbe sottoscritto che la morte non sia avvenuta in correlazione all’arresto. Per l’America antirazzista si è trattata di una copertura dell’accaduto e di una copertura volta a proteggere il presidente Trump, da sempre accusato di alimentare il sentimento razzista americano.
#icantbreath diventa un grido di battaglia
L’hashtag #icantbreath si è trasformato in un grido di battaglia per il mondo intero con il volto di George Floyd eretto a simbolo e martire della lotta in favore dell’uguaglianza sociale.
Gli artisti del mondo, toccati dal tema, hanno espresso in vari modo la loro presenza e vicinanza alla lotta e alle manifestazione che stanno imperversando negli Stati Uniti, offrendo una voce al dolore e alla rabbia verso un’ingiustizia profonda: quella dello Stato che anziché proteggere uccide.
Lo street artist Jorit Agoch su un tetto del rione Bisignano a Barra, in provincia di Napoli, ha ultimato un’opera di 2 metri per 5. Ha dipinto 5 volti, 4 di personaggi politici famosi, Lenin, Martin Luther King, Malcom X, Angela Davis e al centro, l’ormai noto volto di George Floyd. Sotto al murales inneggia la scritta Time to change de world – E’ tempo di cambiare il mondo. Al centro c’è proprio Floyd che piange lacrime di sangue. Il sangue dei neri (ma non solo) che è stato versato.
La bomboletta di Jorit si era già espressa su temi politici scottanti, non dimentichiamo quello su Ilaria Cucchi, la coraggiosa sorella di Stefano Cucchi, anche lui ucciso per mano della polizia (italiana), che tanto si è battuta in onore della giustizia per suo fratello.
Jorit si dimostra sensibile alla violenza e il suo murales è un monito per il mondo, in una città, come quella di Napoli che la violenza la vive ogni giorno, ma che è in grado di lanciare messaggi internazionali e umanitari, anche grazie ad esseri umani come l’artista italo olandese.
Spero che l’incredibile movimento nato dopo questa uccisione diventi una concreta politica di cambiamento, che la reazione del mondo possa essere d’impulso per concepire la realtà in modo diverso . Le persone e gli artisti si sono schierati. Bisogna contrastare ghettizzazione ed emarginazione per combattere il razzismo. Jorit
Anche la musica ha voluto lanciare il suo grido #icantbreath e allora ti chiedo di ascoltare Amir Issaa rapper italo-egiziano che ha dedicato alcune rime a Floyd. Parole semplici e chiare, che arrivano e colpiscono più dei pugni e che volando di bocca in bocca, potrebbero supportare uno sperato cambiamento.
L’arte urbana, senza necessità di fronzoli e orpelli esprime così la propria voglia di comunicare al mondo, in modo forte e diretto, senza la paura di prendere una posizione, il suo NO al razzismo, unita nel coro: #icanthbreath.