In un mondo sempre più digitale, fatto di NFT, installazioni virtuali e arte da scrollare, c’è una materia che torna prepotentemente a farsi sentire. È l’argilla. Sì, proprio quella. Quella che si impasta, che sporca le mani, che si modella col corpo prima ancora che con la mente.
Per anni è stata relegata ai margini dell’arte “alta”, associata più all’artigianato, alla ceramica, alla tradizione popolare. E invece oggi, proprio da lì, l’argilla torna in scena, e lo fa con una forza antica, istintiva, profondamente umana.
Un materiale che racconta l’origine
L’argilla è una delle prime materie usate dall’uomo per creare. Non solo oggetti, ma simboli. Dai vasi neolitici alle statuette votive, dai mattoni sumeri alle maschere rituali africane, l’argilla è materia di passaggio tra terra e forma.
Toccarla significa dialogare con qualcosa di arcaico, ma anche di intimo. E per molti artisti contemporanei, questo ritorno alla manualità è una risposta concreta al bisogno di rallentare, di riconnettersi, di uscire dall’astrazione.
Perché gli artisti di oggi la scelgono

Oggi, sempre più scultori, performer, designer e visual artist usano l’argilla non solo per ciò che può diventare, ma per ciò che rappresenta: impermanenza, trasformazione, fragilità.
In mostra, capita di vedere opere non smaltate, non finite, lasciate volutamente grezze. A volte persino lasciate disgregarsi lentamente, come a dire che il valore non sta nella durata, ma nel processo.
L’argilla diventa metafora del nostro tempo: instabile, modellabile, vulnerabile.
Argilla e corpo: un legame viscerale
Molti artisti lavorano con l’argilla a mani nude, con i piedi, con il peso del corpo. La plasmano con movimenti ripetitivi, quasi ipnotici. Il gesto si fa rituale, la creazione diventa anche performance.
E qui l’opera non è solo ciò che si vede alla fine, ma tutto il percorso che ci ha portato lì. Un ritorno all’arte come esperienza totale, dove materia, corpo e spazio si intrecciano.
Non solo ceramica: nuove forme, nuovi linguaggi
C’è chi usa l’argilla per creare grandi installazioni ambientali. Chi la cuoce e poi la rompe, per raccontare il trauma. Chi la lascia asciugare al sole, senza intervenire, per osservare come reagisce al tempo e al contesto.
Ci sono anche artisti che la contaminano con altri materiali: fibre tessili, metalli, pigmenti naturali. Il risultato è un’arte che non cerca la perfezione, ma la relazione tra le cose.
Una bellezza che si sgretola (e resiste)
Forse è proprio questo che ci affascina dell’argilla: la sua capacità di non voler essere eterna, ma di parlare del presente. Di come tutto cambia, si deforma, si rompe, ma può sempre essere rimodellato.
In un tempo di crisi ambientali, sociali e identitarie, un materiale così semplice può diventare rivoluzionario. Perché ci ricorda che l’arte – come la vita – non è fatta per durare perfetta, ma per essere toccata, vissuta, trasformata.
Hai mai lavorato con l’argilla? O visto un’opera che ti ha colpito proprio per la sua fragilità?
Parliamone nei commenti o mostracela su Instagram: la bellezza, a volte, nasce proprio dalle mani sporche.