Entrare in una sala per la cerimonia del tè stimola qualunque nostro senso. Dopo aver riconosciuto l’odore dell’incenso, ci si perde ad ammirare la stanza adornata di fiori e di rotoli appesi: i kakemono.
Il Kakemono nella cultura nipponica
Il kakemono (掛物 letteralmente “cosa appesa”), o kakejiku (掛軸), è un dipinto o una calligrafia giapponese, su seta, cotone o carta, organizzato a guisa di rotolo e destinato a essere appeso, con bordi di tessuto broccato, su un supporto flessibile, in modo che possa essere arrotolato. A differenza dell’emakimono, un rotolo che viene aperto in senso orizzontale su una superficie, il kakemono si apre in verticale ed è concepito come decorazione murale da interno.
Le prime notizie si hanno dall’epoca Tang in Cina, usati solo per la divinazione e riproducevano icone o testi sacri. Nell’epoca Heian vennero conosciuti in Giappone dove, nel corso delle epoche storiche, si evolsero integrandosi con l’arte dello shodo e l’arte della pittura (sumi-e).
Tra i soggetti maggiormente utilizzati vi erano animali feroci come draghi e tigri, o piante, fiori e uccelli, tutti carichi di significati simbolici che contribuivano a stabilire e a consolidare lo status sociale dei possessori delle opere. Gli esponenti della scuola Kano fondarono in tutto il Giappone una diffusa rete di accademie di pittura, che dal XV secolo alla fine del XIX secolo godettero del sostegno delle classi dominanti.
Nel posizionarli con altri elementi, come bonsai, suiseki o ikebana, bisogna fare attenzione ai timbri, perché chiudono l’esposizione. Le decorazioni, piante o pietre, devono sempre trovarsi al lato opposto dei timbri.
KAKEMONO. Cinque secoli di pittura giapponese
Dal 17 luglio 2020 al 21 febbraio 2021, il MUSEC, Museo delle Culture di Lugano ospita KAKEMONO, nella sua nuova sede di Villa Malpensata, la più estesa esposizione mai dedicata alla pittura giapponese. La mostra vuole essere un approfondimento sull’arte orientale che costituisce, dal 2005, uno dei poli della ricerca e dello sviluppo del Museo.
L’esposizione è prodotta da Fondazione culture e musei di Lugano e Fondazione Torino Musei, si avvale del sostegno della Città di Lugano, della Repubblica e Cantone Ticino – Fondo SWISSLOS, della Fondazione Ada Ceschin e Rosanna Pilone.
La mostra, curata da Matthi Forrer, ripercorre cinque secoli di tradizione figurativa nipponica tra il XVI e il XX secolo, attraverso 90 kakemono, ordinati lungo un percorso tematico che permette di esplorare in profondità la sostanza dei linguaggi pittorici, provenienti dall’inedita collezione, raccolta con cura filologica dal medico torinese Claudio Perino.
Il direttore del Museo delle Culture di Lugano, Francesco Paolo Campione, in merito alla mostra, ha affermato:
Kakemono è un progetto che nasce con un’idea precisa: raccontare cinque secoli di storia dell’arte giapponese, accompagnando per mano il pubblico in un viaggio emotivo di forme e soggetti; un viaggio capace di restituire la peculiarità non solo della pittura ma, più ampiamente, della rappresentazione visiva nella civiltà giapponese.
L’esposizione di Villa Malpensata è un nuovo capitolo nel percorso di studio della creatività e delle tradizioni culturali del Giappone, iniziato quindici anni fa dal MUSEC, con la rassegna dedicata alle foto sottomarine delle pescatrici di Hèkura, realizzate nel 1954 da Fosco Maraini, e proseguita con diversi altri capitoli, come quello sulle stampe erotiche (shunga) e quello sui capolavori della fotografia colorata a mano dell’Ottocento, di cui oggi possediamo una collezione di oltre 16.000 opere, di gran lunga la maggiore esistente al mondo.
Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni tematiche: Fiori e uccelli; Figure antropomorfe; Animali; Piante e fiori vari; Paesaggi. Sono presentate le opere dei maggiori esponenti del periodo in questione, quali Yamamoto Baiitsu (1783-1856), Tani Buncho (1763-1840), Kishi Ganku (1749-1838), Ogata Korin (1658-1716).
La mostra si apre con i dipinti di fiori e uccelli (kacho-ga) che giocano su un’associazione allegorica tratta dalle poesie haiku, e prosegue con quelli che rappresentano figure antropomorfe, dapprima limitate ad alcune divinità buddhiste, a seguaci o discepoli del Buddha, a ritratti di figure shintoiste, o ancora a personaggi mutuati dalla tradizione cinese. Fu solo nel XVIII e XIX secolo che iniziano a comparire anche le persone comuni.
Dall’analisi dell’iconografia degli animali che, a differenza di quella degli uccelli, sono rappresentati in maniera esigua, si giunge alla sezione dei dipinti che propongono piante e fiori, collegati ai mesi e alle stagioni.
Tra le piante, il bambù riveste un importante significato simbolico che comunica un senso di flessibilità, di resistenza e di sicurezza. Per molti studiosi e letterati, la rappresentazione pittorica del bambù era un esercizio assai importante, strettamente collegato per caratteristiche tecniche alla calligrafia, tanto che alcuni artisti vi dedicavano tutta la vita.
L’esposizione si chiude con i dipinti di paesaggio che veicolano un concetto idealizzato della natura. In tali opere si trovano spesso riprodotti fiumi, laghi, corsi d’acqua, pozze o ruscelli in primo piano e picchi montuosi sullo sfondo. Questo genere è quasi sempre realizzato con il solo inchiostro e con rare note di colore.
Lungo il percorso, tra i kakemono, troviamo due armature originali di Samurai e da alcuni album di fotografie giapponesi di fine Ottocento, dalle copertine in lacca riccamente decorate, provenienti dalle collezioni del MUSEC. Accompagna la mostra un catalogo Skira disponibile sia in edizione italiana, sia in edizione inglese, curato da Matthi Forrer.