Mai come oggi, in piena quarantena, una quarantena che ha superato i canonici 40 giorni, gli italiani avvertono il 25 aprile come la giornata della Liberazione. Il 25 aprile 1945, l’Italia si liberò del nazifascismo. Il mondo affranto dalla guerra si stava rialzando molto lentamente. Così l’Italia, fra le macerie, i ponti saltati, i morti e le famiglie distrutte, cercava un nuovo volto.
Chi furono i protagonisti? Basta con questa retorica maschilista. Ci sono state anche le donne a fare la Resistenza e perciò non vanno dimenticate. Le “biciclettiste che andavano come il vento” come Dina Croce che sfrecciava nel 1944 a portare armi, messaggi, munizioni, cibo, non sono mai menzionate. I libri di storia ne accennano soltanto quasi con fastidio e caparbia ostinazione di chi non vuole raccontare proprio tutto.
Oggi te la racconto io…
Le “biciclettiste” anni 40 e le donne della Liberazione
Le donne durante la Resistenza si rimboccarono le maniche, come sempre e si misero a lavorare. Già durante la guerra, molte di loro, senza mariti, mantenevano i loro figli con il lavoro. Molte si crearono un loro spazio, faticando nei campi (ricordi le “mondine”?), sostituendo gli uomini nelle fabbriche, nel settore tessile a d esempio, ma non solo. Molte di loro ormai “portavano i pantaloni“, espressione così gretta e obsoleta, ma che ancora oggi viene menzionata, proseguendo sulla linea di un linguaggio collettivo essenzialmente maschile.
Prima di allora, durante il Regime fascista, la donna era stata relegata al classico ruolo di madre, figlia, sposa, comunque sempre sottoposta ad una figura maschile familiare: il padre, il fidanzato, il marito, un fratello maggiore. Il regime la voleva sottomessa, remissiva, pudica e rigorosamente dedita alla famiglia di cui doveva occuparsi a tempo pieno. Solamente per problemi economici, poteva svolgere un lavoro che compensasse quello del marito, ma le donne che invece lavoravano per proprio conto, senza badare alle regole imposte dalla società, venivano aspramente criticate e giudicate male.
Quando Mussolini dichiarò di essere entrato in guerra, le prime bombe inglesi su Torino nel giugno del 1940 sorpresero la popolazione che si dovette letteralmente sacrificare. Non c’erano più le spose, le madri, le fidanzate, le figlie, le sorelle. I loro ruoli cominciarono a cambiare. Dal lavoro fuori casa che le infilava in abiti diversi e meno remissivi a diventare “staffette” il passo fu breve. Erano giovani ragazze che percorrevano chilometri in bicicletta e contribuirono a mantenere i rapporti familiari, portando cibo e sostentamento ai combattenti e loro stesse poi combatterono, molte di loro morirono. Eppure, un’ombra di dimenticanza ha offuscato le loro vite, il loro contributo alla Liberazione.
Il filo dei ricordi: la liberazione che vive nelle case
Ricordo i racconti di mia nonna, che percorse chilometri in bicicletta sul Lago di Garda, ma non perché fosse una staffetta, eppure aiutava la sua famiglia a mantenersi. Ricordava le grida dei soldati tedeschi nelle gallerie di Limone, paesino che si getta con i suoi splendidi e dorati limoni sulle acque del Garda. Loro la seguivano con le loro famosissime sidecar e lei pedalava. Pedalava e sfrecciava sulla sua bicicletta anche poco prima di morire.
Furono anche loro le combattenti per la libertà, per la difesa dei diritti e per la fine della guerra. Questo atroce conflitto se finì, fu anche merito delle partigiane, non soltanto dei partigiani e delle donne comuni che non si arresero mai alla guerra. Anche loro imbracciarono un fucile, alcune furono ammazzate dopo il 43 quando la penisola era nel caos più totale. I tedeschi non mollavano il nord Italia e il sud era in preda a truppe straniere. Il caos gettò nella violenza la popolazione e allora le donne combatterono ancora, contribuendo a cacciare i nemici.
Sky Arte presenta: la liberazione e le partigiane
Stasera su Sky Arte parleranno di loro nel documentario “Partigiane 2.0. La libertà ha sempre vent’anni” alle 21.15 e in diretta streaming lo stesso giorno alle 15 e alle 21.
Il documentario si avvale di molte testimonianze e documenti storici preziosi, tra cui le immagini di “La donna nella Resistenza” il documentario girato nel 1965, a vent’anni dalla Liberazione, da Liliana Cavani che fu la prima a raccontare del silenzio calato sulle donne partigiane, che erano state considerate “solo” come crocerossine, assistenti, ma non vere e proprie combattenti. La Cavani ripercorre le tappe di questa incredibile avventura, ricordando le emozioni di allora e paragonandole alla situazione attuale.
Saranno tre le donne protagoniste: Laura Wronowski, Ebe Bavestrelli, Dina Croce, tre nomi storici della Resistenza italiana che ripercorrono la loro esperienza di partigiane, aprendo i nostri occhi, perché tutti noi siamo affascinati dai racconti dei “vecchi“, soprattutto se sono storici e così vissuti in prima persona, quei solidi vecchi che hanno dovuto combattere ancora oggi contro il Covid 19. Quei solidi vecchi e queste solide vecchie che non sono vecchie come dire “desuete”, “sorpassate” o “antiquate”. Sono solide donne di 90 anni che hanno il cuore dei vent’anni così libero e pieno di vita, da generare soltanto una profonda e umanissima ammirazione.
Ora, tocca noi rimboccarci le maniche e ricostruire un tempo diverso, disegnare uno splendido volto nuovo e ricordarci ogni singolo giorno di come eravamo.
Oggi moltissimi artisti ci cantano la famosa canzone “Bella, ciao”. Fra questa Tosca, eccezionale interprete della canzone italiana.
Fantastiche biciclettate appassionate per la libertà…Grazie.