Lea Garofalo è una donna che ha pagato il prezzo di nascere in una famiglia della ‘ndrangheta e nella convinzione di cambiare vita ha sposato un uomo, Carlo Cosco, coinvolto anch’egli nella criminalità organizzata. Una vita sotto copertura per poi diventare vittima sia di un compagno al quale aveva dato di nuovo fiducia, sia della crudeltà della ‘ndrangheta.
Lea Garofalo, nasce il 24 aprile a Petilia Policastro. Diventa testimone di giustizia dal 2002, quando prende la coraggiosa decisione di testimoniare sulle faide interne della sua famiglia e di quella di Carlo Cosco, in particolar modo sull’attività di spaccio di stupefacenti svolta da quest’ultimo e da suo cognato Giuseppe, colpevole anche di avere ucciso Floriano Garofalo, il fratello di Lea.
Nel delitto di Lea Garofalo, anche lo Stato ha la sua parte di responsabilità. Nel 2006 viene infatti estromessa dal programma di protezione perchè giudicata poco attendibile. Dopo una serie di ricorsi, Lea Garofalo viene riammessa nel 2007 nel programma, ma solo come collaboratrice di giustizia, non come testimone.
Nel 2009 scrive un’accorata lettera al Presidente della Repubblica lamentando il fatto di aver ricevuto una scarsa assistenza legale e di essere stata obbligata a trasferirsi con la figlia piccola in diverse città e di trovarsi in difficoltà economiche per pagare gli avvocati. Dopo essere sfuggita da un tentativo di sequestro, la sera del 24 novembre 2009 viene uccisa dal compagno Carlo Cosco e il suo corpo viene barbaramente bruciato a San Fruttuoso.
Nel 2012 la Cantastorie Francesca Prestia, prima donna nella storica tradizione dei Cantastorie, dedica alla coraggiosa Lea Garofalo La Ballata di Lea, con la quale aprì l’Assemblea Nazionale delle donne della CGIL al Teatro Capranica di Roma. Dall’incontro tra l‘antica arte dei Cantastorie e l’antica tradizione dei pupi, rappresentata da Angelo Sicilia, nasce un progetto non solo artistico, ma civile e sociale che andrà in scena ad agosto 2020.
Lea Garofalo: la vicenda di una donna che ha combattuto per la legalità, diventa materia per due cantori dei tempi moderni
Due forme epiche che trasformano la memoria in materia viva, rinnovandosi e trovando la loro collocazione in un tempo in cui le dimensioni del reale e del virtuale spesso si accavallano e si confondono.
Angelo Sicilia e Francesca Prestia, eroici artigiani del nuovo millennio senza le eroiche armature di Orlando e Bradamante, ma con una sapienza frutto di studi, esperienze ed oralità, si fanno portavoce degli eroi vittime di mafia, confermando ancora una volta l’efficacia delle forme di teatro popolare che sanno parlare agli strati più umili, ma anche sorprendere quei pochi animi semplici appartenenti agli strati culturalmente più elevati.
Lea Garofalo vista da Francesca Prestia
Francesca Prestia è una cantastorie calabrese che compone canti in lingua grecanica, un dialetto greco-calabro e arbereshe, un dialetto italo-albanese. Le sue ballate sono dedicate alle vittime di Mafia e ai temi della migrazione. Oltre a comporre La Ballata di Lea, la Prestia si è anche occupata di Giuditta Levato, una contadina di Calabricato uccisa nel 1946 in seguito alle lotte dei contadini contro il Latifondo.
Ha pubblicato due importanti CD, Le donne del Sud e Mare Nostrum.
Le musiche che corredano la rappresentazione della vicenda di Lea Garofalo, sono composte ed eseguite dal vivo da Francesca Prestia con la sua voce e vari strumenti musicali come chitarrina battente, flauto traverso, tammorra, glockenspiel.
Lea Garofalo vive nel repertorio di Angelo Sicilia e dei suoi Pupi antimafia
Angelo Sicilia è un puparo che opera a Palermo ed è Direttore del Museo dell’Opera dei Pupi delle Madonie, Direttore del Museo dei Pupi di Carini e Fondatore dell’Associazione culturale Marionettistica Popolare Siciliana.
A differenza dei suoi colleghi non viene da una famiglia di pupari, ma nella sua “valigia dell’attore” ha conservato le storie dei paladini che suo padre gli raccontava costantemente, le visite nelle botteghe degli antichi pupari e l’incontro con Felicia Bartolotta, la mamma di Peppino Impastato.
Si è formato presso i corsi biennali del Teatro Scuola dell’E.A al Teatro Massimo di Palermo. I suoi insegnanti erano Giovanni Ferreri, Paolo Ursi, Antonio Giordano.
“Quando ero piccolo abitavo in un quartiere periferico di Palermo, agli angoli delle strade si trovavano all’epoca i costruttori di pupi. Con la loro manualità, la loro poetica, i loro strumenti antichi così distanti dalla modernità che stava avanzando, mi sono innamorato di quest’arte e ho capito che avrebbe accompagnato la mia vita. Quei colori così accesi mi affascinavano e restavo ore a guardarli, è iniziato tutto lì…in seguito ho deciso di approfondire questa passione facendo attività di ricerca per tanti anni. Poi mi sono accorto, negli anni ‘90, della crisi che ha colpito questo settore, molti pupari si erano ritirati e ho capito in quel momento che bisognava fare qualcosa per non permettere che la tradizione scomparisse.”
Angelo Sicilia afferma di essersi “innamorato” dell’arte dei Pupi siciliani e ha utilizzato una parola giusta. Per svolgere il mestiere di puparo e salvaguardare una tradizione che dal 2009 è stata riconosciuta come Patrimonio UNESCO, ci vuole un grande amore. Attraverso l’arte dei pupi non si narrava solo il ciclo epico carolingio, ma anche i cicli religiosi, il ciclo shakespeariano, quello storico, un ciclo legato alle gesta dei banditi, dei fuorilegge come il bandito Giuliano, Pasquale Bruno, Musolino e tanti altri.
Il giovane Angelo, puparo che ha dato inizio a una nuova generazione e che oltre a rappresentare il repertorio tradizionale, svolgeva un percorso di intensa militanza antimafia a Palermo, rompe la tradizione e comincia a narrare le storie di chi aveva combattuto la criminalità. Nascono così i Pupi antimafia.
“Tolsi le armature ai miei pupi e li rivestii con giacche, pantaloni, divise da carabinieri e poliziotti, ma anche con i jeans e le magliette dei ragazzi che utilizzai per lo spettacolo sulla storia di Peppino Impastato o con l’abito talare di Don Pino Puglisi. Lo stesso feci con gli scenari, misi da parte la reggia di Carlo Magno e l’accampamento saraceno e cominciai a dipingere Radio Aut, l’Aula Bunker di Palermo, il Palazzo di Giustizia: nacquero così i Pupi antimafia. All’epoca , circa venti anni fa, non mi accorsi che, mantenendo la rigorosità della messa in scena e della manovra, nonché della costruzione dei pupi e delle scene nello stile della scuola palermitana, stava nascendo un nuovo e inedito ciclo epico che raccontava l’orgoglio dei siciliani e non più la celebrazione e l’apologia degli atteggiamenti mafiosi”.
Lea Garofalo diventa una “Pupa antimafia”: anche le donne aggiungono la loro voce nel repertorio dei pupari
Nascono così le storie di Peppino Impastato, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di Padre Pino Puglisi, del giudice Livatino, di Pio La Torre, del bambino Giuseppe Di Matteo, del detective italo-americano Joe Petrosino e si aggiunge la storia di Lea Garofalo. L’innovazione di Angelo Sicilia coniuga la tradizione civile con l’impegno sociale.
I suoi progetti legati al tema dell’educazione alla legalità trovano tra gli interlocutori ideali i bambini e gli studenti, ma anche gli adulti che sanno essere sognatori e idealisti. Nei Pupi antimafia ha preso corpo il piccolo Claudio Domina di 11 anni, un compagno di giochi di Angelo, freddato con un colpo di pistola nelle strade di Palermo, senza un perchè. Da allora la reazione di Angelo Sicilia è stata quella di rifiutare questa spirale di criminalità organizzata e violenza e di diffondere messaggi positivi. I Pupi gli hanno rivelato la via, come dichiara il puparo:
“Ho deciso di raccontare queste storie tramite i pupi perché sono uno strumento straordinariamente efficace, con un codice linguistico semplice e senza fronzoli che mi permette di narrare anche storie complesse, sintetizzandole e rendendole comprensibili anche per bambini molto piccoli, coinvolgendoli con scene rese più “leggere” rispetto ad altri strumenti, ma che, allo stesso tempo, riescono a trasmettere fortemente il messaggio.”
Angelo Sicilia ha ricevuto Il Premio nazionale Alessio Di Giovanni nel 2019 per “l’impegno e legalità” della sua attività teatrale. Il premio è organizzato dall’Accademia Teatrale di Sicilia, presieduta da Tonina Rampello, con la direzione artistica di Enzo Alessi. Ha ricevuto inoltre il Premio Legalità e Cultura del 2012, il Premio Buttitta e il Premio Cassarà del 2016, il Premio Lia Pipitone, il Premio Rita Atria, il Premio Internazionale Livatino di Catania, il riconoscimento dell’Associazione Joe Petrosino di New York, il Premio per l’Impegno e la memoria da parte dell’Associazione “Libera – volti e numeri contro le mafie” della Valle d’Aosta”.
L’Opera dei Pupi dal 2003 diventa patrimonio Unesco
Dal 2003 l’Opera dei Pupi è iscritta al Patrimonio immateriale dell‘UNESCO. Questa la definizione ufficiale:
“Pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e i saperi così come gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui, riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Tale patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e fornisce loro un senso di identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”
L’Opera dei Pupi è stata in parte trasmessa per via orale, ma soprattutto di generazione in generazione, poichè nelle zone in cui si è estesa esistevano delle famiglie che si tramandavano il segreto dell’arte da padre in figlio. Nasceva dall’unione di varie arti ed era frutto di una grande sapienza artigiana.
Tutto era frutto di uno studio accurato, dalla progettazione del pupo che aveva determinate caratteristiche riconoscibili dal pubblico, alla progettazione delle scene e dei fondali, alle tecniche di manovra e vocali. In passato ai fini promozionali venivano usati dei cartelloni. A Palermo ad esempio erano suddivisi in riquadri che indicavano diverse puntate, a Catania invece c’era un unico grande riquadro che raffigurava la scena centrale.
All’epoca andare ad ascoltare le storie dei paladini costituiva una routine, rassicurante e positiva e un grande momento di aggregazione nel quale il pubblico interveniva in maniera attiva allo spettacolo, insultando Gano di Magonza che era l’antagonista e piangendo per la morte di Orlando. I personaggi entravano nella quotidianità in quanto erano anche raffigurati sui tipici carretti.
Il teatro dei Pupi: differenze tra l’area palermitana e quella catanese
A Palermo il teatro dei pupi siciliani, come forma di teatro popolare ha avuto uno sviluppo organico, grazie alle maestranze artigiane che costruivano i casotti, dei veri e propri teatri in legno dove nacque prima il genere della Vastasata e poi l’Opera dei Pupi. Le principali famiglie Palermitane che diffusero l’Opera furono quella di Don Gaetano Greco e Don Liberto Canino. Il Greco in particolar modo assimilò le forme di teatro di figura di area napoletana e le rielaborò in maniera originale.
I pupi di area palermitana si differenziano notevolmente da quelli di area catanese. I primi non superano il metro, ma hanno una struttura agile, sciolta e le ginocchia che si piegano. I paladini hanno una bacchetta di ferro sul dorso e il pugno chiuso collegato ad un filo che consente di portare la spada al fodero.
Il puparo faceva la manovra dalle quinte laterali e dava al tempo stesso voce e movimento al pupo. Oggi con l’evoluzione dell’Opera dei pupi si accentua ancora di più la contaminazione tra le arti. Il puparo può diventare personaggio e può manovrare il pupo a vista, come accade nel teatro di Mimmo Cuticchio che sperimenta le contaminazioni tra l’Opera ed il Cunto e tra l’Opera dei pupi e l’Opera lirica.
Il pupo catanese invece è alto circa 1,40, quindi è più pesante ha le giunture più rigide e viene animato dal puparo che dà il movimento e il parlatore che dà la voce. L’opera dei pupi di Catania aspirava al teatro maggiore e non ha avuto lo sviluppo nei casotti. Dall’opera dei pupi di Catania si sono però formati grandi attori come Angelo Musco, uno degli attori di spicco del teatro di Pirandello.
Caro Icrewer spero che ti sia piaciuto questo viaggio nelle forme di teatro popolare che spesso svela grandi tesori. Se sai ancora innamorarti di un ideale e se sei un sognatore il teatro dei pupi può essere per te, come lo è stato in passato per me, un forte richiamo.