Little Albert è un chitarrista che fonde blues, rock e jazz. Suona in molti festival europei e statunitensi con i Messa, band doom metal, prima di fermarsi a raccogliere idee per un progetto solista. Nascono così l’album di esordio “Swamp King” e il più recente “The Road Not Taken”, in uscita il 29 marzo su etichetta Virgin Music/Universal Music Italia.
Little Albert: il blues rock made in Italy
Ogni grande passione nasce in modo diverso, ma c’è sempre un evento o una persona che ci mostra la strada da percorrere. A te com’è è successo?
La mia è una famiglia di musicisti. Ci sono sempre stati musica e strumenti musicali a casa. Erano una presenza costante. Tieni conto che la domenica mattina mio padre mi svegliava mettendo su l’album “Led Zeppelin II”. C’era quindi tutta una colonna sonora ben impressa nella mia mente. Un giorno ho preso questa chitarra che era in un angolino del soggiorno e ho chiesto a mio zio: “Puoi spiegarmi come si suona?” Da lì è iniziato tutto.
A un certo punto del tuo percorso artistico ti unisci ai Messa, band doom metal con la quale giri l’Europa e gli Stati Uniti. Come inizia quella bellissima favola?
Veniamo da un paese piccolo, di tremila persone, e abitiamo tutti nel raggio di 10 km. Tra musicisti ci si conosceva, così un giorno i ragazzi mi hanno chiesto se volevo far parte di una band. Quando il progetto ha preso il via abbiamo capito che poteva avere un senso se tutti quanti mettevano un po’ del loro e così sono nati i Messa.
Ho letto che avete calcato i palchi di numerosi festival.
In Europa abbiamo fatto un’ottantina di concerti nell’ultimo anno. Negli Stati Uniti ci siamo stati l’anno scorso e ci torneremo anche quest’anno. Ora siamo fermi per fare il disco nuovo.
In questo modo hai più tempo da dedicare al tuo progetto solista
È tutto pensato. Più avanti dovrò fare delle scelte, soprattutto per quanto riguarda i live, ma al momento la band è ferma e il problema non si pone. Tra l’altro ho anche cercato di far coincidere le uscite dei dischi in modo che non si pestassero i piedi…
È curioso il passaggio dal doom metal dei Messa a quello di matrice rock e blues dei tuoi album.
Dal mio punto di vista non ho mai cambiato genere. Anche con i Messa suono cose di matrice blues e la strumentazione che uso è sempre quella. Pensa che ai concerti metal si meravigliano quando mi vedono arrivare con un amplificatore più adatto a fare blues.
Blues e rock sono una costante della tua dimensione artistica, tanto che a un certo punto senti l’esigenza di dar loro spazio in un progetto solista. Nasce così l’album “Swamp King”, un meraviglioso intreccio di blues, jazz e rock psichedelico.
È un disco dalle influenze “stoner rock” [un sottogenere della musica heavy metal che unisce elementi di rock psichedelico, blues rock, doom metal e di altri generi, n.d.r.]. Ho avuto l’illuminazione durante il festival “Up In Smoke”, in Svizzera. Una band australiana, i Child, proponeva un misto tra blues e stoner rock, che suonava come un Hendrix più distorto e lento. Mentre li ascoltavo ho pensato: potrei fare una cosa simile. È nato così “Swamp King”, un disco blues e rock che rende omaggio ad artisti degli anni ‘70 come Cream, Robin Trower e altri, che mettevano della psichedelia nei loro brani.
Poi arriva “The road not taken”, il tuo secondo album prodotto da Virgin Music/Universal Music Italia. Il titolo mi ha subito incuriosito. Qual è questa “strada non presa” alla quale fai riferimento?
Si tratta di un momento della mia vita in cui ho dovuto fare una scelta.
Tu hai girato il mondo con i Messa e toccato più realtà culturali e musicali. Vado diretto: quanto è difficile fare rock in Italia?
Mah, devo dire che è difficile fare un po’ tutto in Italia. Se vai in Olanda, tanto per fare per esempio, entri in un locale che fa musica live e guardi il palco con la strumentazione, ti accorgi subito che investono per garantire una resa eccezionale. Inoltre ci sono tantissimi conservatori. Ci sono anche in Italia, eh, ma in Olanda, quando finisci il conservatorio, c’è modo di andare avanti. Qui da noi muore un po’ tutto. Non ci sono luoghi di aggregazione. Di musicisti in Italia ce ne sono tantissimi e sono anche bravi, ma mancano le strutture.
Quindi se sei italiano e vuoi fare rock, l’unica è puntare al mercato estero
Noi italiani siamo esterofili da sempre. Una proposta musicale che ha connotati internazionali parte già con diversi punti di vantaggio. Nel mio caso parliamo di brani con il testo in inglese. Sono quindi già partito avendo bene in mente il pubblico di riferimento, che poi è quello dei Messa.
Di recente i Megara hanno vinto il contest “Una voce per San Marino” con un brano alternative rock contaminato da elementi di musica elettronica. Credi che al rock serva questo tipo di contaminazioni per evolversi e quindi sopravvivere negli anni a venire?
Credo che la tendenza a mescolare più generi o più elementi sarà la chiave per la sopravvivenza di qualsiasi genere musicale. Alla fine è quello che cerco di fare anch’io. Il mondo è così globalizzato che ha senso far incontrare più ispirazioni per creare qualcosa di nuovo. Certo, non è un compito facile, devi scegliere ingredienti che stiano bene insieme. Come mi piace ripetere: non puoi fare un panino con tutte le cose che hai in frigo.
Spero che a nessuno venga in mente di fondere il rock e la trap
[Ride] Chissà, magari vien fuori una bomba.
Scherzi a parte, vedi nel panorama odierno artisti che possano aprire nuovi orizzonti musicali?
Noto una fase di restaurazione e di ritorno alle origini. Le band che piacciono a me ci tengono a fare le cose in modo che risultino vintage. Guarda i Dewolff.
Ora che “Road not taken” è pronto per scaldare gli animi di noi dinosauri del rock, quando lo presenterai dal vivo?
Il 5 aprile al “Vinile Club” di Bassano del Grappa. Ci sarà poi una serie di concerti che annuncerò. Con i Messa ci muoveremo a maggio. L’intenzione è quella di suonare dal vivo il più possibile.