Lorenzo Quinn lo sa bene, essere “figlio di…” non sempre rende le cose facili, se poi alla parola “di” fa seguito il nome di un mostro sacro come Anthony Quinn, diventano impossibili. Sembra quasi che la gente aspetti solo un passo falso per poter criticare e anche se si ha successo, la strada non è in discesa perchè, ovviamente, il successo deriva dal cognome importante. Non per niente, sempre più spesso, i figli delle celebrità tendono a discostarsi dalla pesante eredità genitoriale. Questo è il caso di Lorenzo Quinn, il quale dopo una breve carriera di attore, recitando anche a fianco dell’immenso padre, si è dedicato completamente alla scultura.
Lorenzo Quinn, un artista decisamente controverso
Lorenzo Quinn, nato nel 1966, è il terzo figlio che Anthony Quinn ebbe dalla seconda moglie, l’italiana Jolanda Addolori (ne aveva avuti cinque dalla prima e ne avrà poi altri due dalla terza). Essendo figlio di un mostro sacro di Hollywood e una costumista, respirò sin da subito l’aria del cinema e come i fratelli, inizialmente tentò una carriera cinematografica.
La sua formazione era però prettamente artistica e quindi la parentesi hollywoodiana durò ben poco perchè preferì dedicarsi alla scultura. Nella sua biografia online ripercorre il momento quando si rese conto di aver creato il suo primo lavoro, era il 1989 e basandosi su un disegno di Michelangelo, creò la scultura di Adamo con Eva che usciva dal torso. Quello che doveva essere solo un esercizio accademico, si era trasformato in una scultura artistica.
Le sue opere sono spesso maestose, con forti messaggi di sensibilizzazione e con il dichiarato intento di essere capite da chiunque. Le sue sculture hanno iniziato da subito ad avere successo, venendo esposte alle Nazioni Unite, in Qatar e persino all’Hermitage di San Pietroburgo. Quinn vanta inoltre una collaborazione ventennale con la Halcyon Gallery di Londra. Una serie di sue piccole sculture ha uno spazio all’interno dei grandi magazzini Harrod‘s di Londra, dove possono essere anche acquistate.
Nel 2011 partecipa al Padiglione Italia di Sgarbi alla Biennale di Venezia, nel 2017 con l’opera Support, due gigantesche mani che, uscendo dall’acqua, sorreggono la parete esterna dell’hotel di Ca’ Sagredo. La scultura voleva rappresentare la minaccia data dai cambiamenti climatici, non solo su ambienti naturali, ma anche l’impatto che ci può essere sulle città, Venezia in primis in quanto direttamente sull’acqua (e a vedere la recente acqua granda che l’ha sommersa, Quinn tre anni fa è stato alquanto lungimirante).
Ma è nel 2019, con la scultura Building Bridges che scatena la vera polemica. L’installazione è composta da sei coppie di mani, alte 15 metri, che si intrecciano a due a due per una lunghezza totale di 20 metri. Ogni coppia ha il proprio significato, l’intreccio diverso delle mani simboleggia amore, amicizia, fede, saggezza , aiuto e speranza e anche la scelta del nome è una dedica a Venezia e i suoi innumerevoli ponti.
Che problemi potrebbe mai dare un’installazione che parla di amicizia, amore e altri nobili sentimenti, ti starai chiedendo? Il problema non sembra derivare dal tema della scultura, ma bensì dallo scultore stesso. L’installazione non faceva parte della Biennale 2019, ma la posizione in cui è stata collocata (all’Arsenale, proprio nel punto dove uscivano i visitatori e vicino all’ingresso della sala stampa) dava adito a pensare che fossse parte dell’importante manifestazione internazionale.
Anche molti giornali e tv caddero nell’equivoco, parlando della scultura come una delle opere di punta della Biennale. Una parte del mondo artistico è stato fortemente polemico nei confronti dello scultore, imputandogli, tra l’altro, di non apparire nelle pubblicazioni di Arte che “contano” e di non vantare un curriculum di alto livello, criticando anche la cena di gala per l’inaugurazione dell’opera e i relativi ospiti.
Non si riesce a capire se l’astio nei suoi confronti da parte di una certa stampa del settore sia dovuto davvero alla qualità delle sue opere (che a dirla tutta, personalmente a me piacciono) e del modo poco “artistico”, vedi Harrod’s, che ha Quinn nel veicolarle, oppure sia solo lo snobismo intrinseco di una certa parte del mondo dell’arte che difficilmente perdona l’essere “figlio di” e gli innegabili vantaggi iniziali che un cognome famoso comporta.
Grande Lorenzo infaticabile capolavorista come il papà.
Vero, anche ora in pieno lockdown Il suo estro creativo non si ferma!
Straordinario
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