Con il suo modo di camminare, fingendo di essere controvento ma con una grazia e un talento innati, Marcel Marceau, forse inconsapevolmente, inventò il passo di danza tra i più famosi al mondo, divenuto celebre nella rivisitazione di Michael Jackson, il quale dimostrò sempre grande ammirazione per il silenzioso, nella vita e sul palcoscenico, mimo francese che dietro le sue mille espressioni, per anni ha celato i ricordi di un’esistenza vissuta forzatamente come un’ombra, nel periodo più buio della storia dell’umanità: la seconda guerra mondiale e la deportazione degli Ebrei.
Da Marcel Mangel a Marcel Marceau
Nato a Strasburgo nel 1923, da una famiglia ebrea-francese, si trasferì a Limoges nel 1939 con lo scoppiare della seconda guerra mondiale. Qui il giovane Marcel, continuava a dimostrare un profondo interesse per tutto ciò che era espressione artistica, focalizzata sul genio del momento Charlie Chaplin e il suo personaggio Charlot, emblema del cinema muto.
Fu a partire da questi anni che cambiò il suo nome da Marcel Mangel in Marcel Marceau, nome di un generale della Rivoluzione francese, ritenuto più idoneo al ruolo che aveva deciso di interpretare nella vita reale, poiché aveva scelto di entrare a far parte della resistenza francese, iniziando così a creare e rappresentare i suoi personaggi nel palcoscenico della vita.
Ad ogni nuovo documento falso si ritrovava a dover impersonare un personaggio diverso che gli avrebbe consentito, per un altro po’ di tempo, di sfuggire alla cattura e alla deportazione. E gli riusciva bene a Marcel Marceau, un nuovo nome, una nuova identità, un nuovo “io”, tutti interpretati alla perfezione perché si sa, il palcoscenico della vita non perdona, un passo falso e non ci sarebbero stati i, sia pur avvilenti, fischi del pubblico in sala ma una sventagliata di piombo nella migliore delle ipotesi, perché la peggiore era la deportazione in un campo di concentramento.
Lo sapeva bene Marcel Marceau, perché aveva visto portare via suo padre, per non tornare più
Nelle fila della resistenza francese Marcel Marceau non interpreta mai se stesso, trasformandosi in “chiunque”; in ogni personaggio che possa aiutarlo nel suo compito preassegnato. Riesce così a fingersi capo scout e insieme ad altri appartenenti, a portare in Svizzera tanti bambini ebrei, ospiti in un orfanotrofio francese e ormai prossimi alla deportazione. Si racconta che attraverso il mimo riuscì a coinvolgere così intensamente i piccoli in una sorta di gioco, affinché essi stessi collaborassero totalmente alla riuscita dell’operazione verso la salvezza.
Passarono gli anni, Marcel Marceau, dopo la guerra, grazie all’incontro ed ai successivi studi con Étienne Decroux, grande mimo e affermato attore di teatro, non disse mai una parola in pubblico delle vicende che lo coinvolsero durante tutto il periodo della seconda guerra mondiale. Solo quando nel 2001, gli fu conferito il riconoscimento della medaglia Raoul Wallenberg, in quell’occasione, a chi gli chiese perché non avesse mai menzionato tali fatti, egli decise di rispondere così:
Le persone che sono tornate dai campi di concentramento non sono mai state in grado di parlarne … Mi chiamo Mangel. Sono ebreo. Forse questo, inconsciamente, ha contribuito alla mia scelta del silenzio
Dopo la guerra infatti Marcel Marceau, riprese ad inseguire il sogno della carriera artistica, interrotto dal conflitto mondiale e vide nell’incontro con Etienne Decroux una tappa fondamentale; acquisì i rudimenti fondamentali dell’arte del mimo da colui che è tuttora considerato il padre del mimo moderno e fondatore della più importante scuola di mimo del mondo occidentale.
Da questa esperienza formativa nacque Bip, allegro e allo stesso tempo malinconico, il personaggio più famoso di Marcel Marceau che per molti tratti ricordava l’amato e ammirato Charlot, tanto seguito negli anni dell’infanzia; un clown dalle mille anime Bip che da lì in avanti fu un compagno sempre presente nella vita artistica di Marcel Marceau e apprezzatissimo da pubblico e critica.
L’intera vita di Marcel Marceau fu costellata da riconoscimenti e progressioni di carriera sempre costanti, frutti attesi di un lavoro ben costruito e solido dalla base, nato dalla pura passione per quell’arte che ha saputo salvarlo dalla deportazione prima e incensarlo negli anni che seguirono, trovando sempre in lui quell’essenza schiva che cercava la forza di mostrarsi attraverso i suoi personaggi ai quali forse, affidava tutto di sé, tanto che le parole diventavano inutili anche per riferire di fatti accaduti. Cosa appunto che non fece mai se non in pochissime circostanze come quella citata.
Uscito in Italia il 23 giugno il film sulla sua vita, ci mostra un Marcel Marceau negli anni della resistenza francese, quando, insieme a suo fratello e suo cugino, si arruola come detto nella Francs-tireurs et partisans (FTP) e dove inconsapevolmente mette in scena i suoi personaggi migliori, richiamando i quali, fonderà successivamente la sua brillante carriera, celando dentro di sé l’eterno ricordo di quei momenti e conferendo al triste sorriso di Bip il compito di mostrare ai posteri, quello che le parole non sarebbero mai state in grado di dire.