Marina Abramović nacque a Belgrado nel 1946 da una famiglia molto nota, i suoi genitori, partigiani durante la Seconda guerra mondiale, erano considerati eroi nazionali, il nonno era un patriarca della chiesa ortodossa serba, poi proclamato santo. Iniziò a dimostrare interesse per l’arte molto presto e quando, a 14 anni, chiese al padre di comprarle dei colori, questi si presentò a casa con un amico, il quale davanti agli occhi della ragazzina creò una vera e propria performing art, tagliuzzò una tela e la coprì di sabbia, pietrisco, colla, bitume e colori, per poi dare fuoco al tutto con un cerino dicendo: “questo è il tramonto“. Marina frequentò l’Accademia di belle arti di Belgrado dove si diplomò nel 1972, poi per due anni insegnò a quella di Novi Sad mentre cominciava a farsi conoscere per le sue performance.
Cos’è la Performance art?
La Performance art è un’azione artistica che viene presentata direttamente al pubblico, creando un dialogo, anche senza parole, tra l’artista che la propone e il pubblico che assiste. Può essere improvvisata o avere un copione che prevede o meno la partecipazione degli spettatori, i quali possono essere parte attiva del progetto oppure assistere passivamente a quanto accade rendendosi conto solo alla fine di essere stati parte di esso. Marina Abramović è stata da subito molto estrema nelle sue performance, arrivando anche a correre dei rischi. Qui di seguito andiamo a scoprire le sue più celebri opere che l’hanno fatta diventare, come ama definirsi lei, la “nonna della Performance Art“!
La serie Rhythm
Rhythm 10: utilizzando il gioco del coltello (ovvero infilzare velocemente un coltello a punta tra le dita della mano aperta, cercando di non tagliarsi) l’artista registrò la performance cambiando coltello ogni volta che si tagliava, raggiunti i 20 tagli riguardava la registrazione effettuata e cercava di ripeterla nei suoni e negli errori (tagli compresi), in una mescolanza di passato e presente con lo scopo di esplorare le limitazioni fisiche e mentali che si possono avere in determinate situazioni.
Rhythm 0: la sua perfomance più dura, violenta e pericolosa. Nello Studio Morra a Napoli l’artista si mise completamente a disposizione del pubblico per sei ore. Su di un tavolo c’erano oggetti che potevano dare piacere o dolore (pistola carica compresa). Tutto iniziò in sordina, all’inizo il pubblico era titubante, ma quando capì che lei avrebbe accettato tutto, si accanì con una ferocia incredibile, tagliuzzandole i vestiti con una lametta, arrivando a ferirla, fino a che qualcuno le mise in mano la pistola portandole le dita sul grilletto. A quel punto ci fu quasi una rissa tra chi aveva esternato il suo spirito più crudele e chi invece la proteggeva in un’empatia creata dal momento di pericolo.
Rhythm 5: in questa performance Marina Abramović rischiò la vita. La performace consisteva nell’accendere il fuoco all’interno di una cornice fatta a stella a cinque punte (da qui il numero 5) dove l’artista gettava capelli e unghie che si tagliava sulla scena, per poi, in un atto di purificazione entrare all’interno della stella infuocata. A causa del riverbero del fuoco e del fumo che esso emenava, il pubblico non si accorse subito che Marina era svenuta a causa della carenza d’ossigeno. Quando videro che le fiamme lambivano il suo corpo e lei non si muoveva, si resero conto di quanto accaduto e corsero a tirarla fuori. Una volta ripresa commentò così la performance: “Ero molto arrabbiata perché avevo capito che c’è un limite fisico: quando perdi conoscenza non puoi essere presente; non puoi esibirti.”
L’incontro con Ulay
Limitare il suo rapporto con Ulay (al secolo Frank Uwe Laysiepen, artista tedesco) alle loro performance sarebbe troppo limitativo. Il loro fu un grande amore, alimentato dalla passione per l’arte e consumato come un fuoco ardente. In Rest/Energy mostrarono a quali livelli di fiducia possono arrivare le relazioni. Lei reggeva un arco, ma a tenere la freccia tesa sulla corda e puntata al suo cuore era Ulay, in un gioco di rilassamento e tensione. Impenderabilia, alla Galleria Comunale di Arte moderna di Bologna, fu interrotta dopo nemmeno due ore dai poliziotti perché ritenuta oscena. La coppia era nuda in uno stretto passaggio da dove il pubblico doveva per forza passare e scegliere se dare le spalle a lei oppure a lui. Persino la fine della loro storia, dieci anni dopo il primo incontro, divenne una perfomance intitolata The lovers. Partendo dagli estremi opposti, si incontrarono a metà della Muraglia cinese, per dirsi definitivamente addio.
Balkan baroque
Con questa opera Marina vinse il Leone d’oro alla Biennale di Venezia nel 1997. L’artista sedeva in una cantina sopra una montagna di ossa bovine (vere!) che puliva incessantemente accompagnando i gesti con litanie e lamenti. Il tutto era per richiamare l’attenzione sulla guerra nei Balcani in quel periodo ancora in corso.
The Artist is present
Nel 2010 il MoMA di New York dedicò una mostra a Marina Abramović. Furono riproposte alcune delle sue performance più celebri, messe in atto da giovani artisti scelti personalmente da lei e che aveva “addestrato ” per alcune settimane presso la propria abitazione. Tra queste anche quell’ Impenderabilia che aveva suscitato tanto scandalo nel 1977. L’opera che coinvolgeva l’artista invece, consisteva nel suo stare seduta immobile per sette ore fissando negli occhi chiunque si sedesse di fronte a lei. Il risultato era incredibile, c’era chi rimaneva impassibile per tutto il minuto concesso, chi si commuoveva come se attraverso l’artista vedesse sé stesso e le proprie debolezze. Il punto più alto della performance fu raggiunto però quando, dopo circa 750 persone, a sedersi davanti a Marina fu Ulay che non vedeva da 23 anni. Ogni volta che una persona si alzava dal posto, Marina chiudeva gli occhi e non li riapriva fino a che qualcun’altro non si era seduto. Nel video che trovi sotto, puoi vedere cosa successe quando aprì gli occhi e se lo vide davanti. Io trovo che sia un momento di un’intensità unica.
GrandMother Of Performance
Inutile andare a cercare foto e/o video di questa performance, semplicemente perchè ancora non è stata portata in scena. Sarà l’ultima opera di Marina Abramović e avrà luogo una volta morta. La grande performer ha già stabilito che quando morirà ci saranno tre bare, una sarà portata a Belgrado, una ad Amsterdam e una a New York, le tre città che hanno avuto un’importanza enorme nella sua vita, ma nessuno saprà in quale sarà il corpo dell’artista.
Inutile negare che Marina Abramović è una delle artiste più controverse del nostro tempo, che ha saputo stupire con performance audaci ed estreme e stupirà ancora al momento della sua morte.