Matres Matutae. Non un culto ma una sorta di ex voto che dalla fine del V secolo a.C. sembra aver evidenziato il ruolo della mamma come momento imprescindibile, fulcro di un’intera società.
Conservate nel Museo Campano di Capua le circa 150 statue raccontano ben quattro secoli di storia antica e lo fanno nelle stanze di una realtà poco conosciuta ai più, se non tra gli studiosi che invece lo ritengono una preziosa fonte a cui attingere.
Quattrocento anni di storie di mamme, all’apparenza tutte uguali, differenziandosi le une dalle altre solo dal numero di fagotti in fasce che tengono tra le braccia, sedute su un trono, le cui fattezze poco ricordano le linee curve ed arrotondate delle pregevolissime produzioni di età classica.
Neanche il materiale di cui sono fatte le Matres Matutae è di pregio, essendo fatte di comunissimo tufo, abbondante nei luoghi del ritrovamento, indice di una realizzazione immediata priva di ricerca stilistica.
Unica distinzione che può essere notata da chiunque sono le forme estremamente essenziali delle Matres Matutae del V secolo, rispetto a quelle databili fino al I secolo a.C..
Rinvenute in quello che è stato indicato come un luogo di culto, le Matres Matutae erano probabilmente degli ex voto per ringraziare la divinità delle nascite che in seno alla famiglia erano andate a buon fine senza epilogo infausto.
E forse, implicito era il ringraziamento alla divinità anche per il numero dei figli che venivano concessi alla famiglia, poichè si era in epoche in cui la forza lavoro non proveniva dall’esterno ma doveva essere reperita all’interno della famiglia, in una complicata gestione di matrimoni atti anche a garantire l’ampliamento di quella che pur chiamata famiglia, rappresentava una micro impresa con forte risvolto sociale.
Il culto della grande madre affonda le sue radici fin nella preistoria; elemento poi ripreso nella mitologia Romana in cui la Mater Matuta era la dea dell’Aurora, intesa come fautrice di ogni nuovo inizio, rapportabile anche alla vita, ed in generale alla fecondità.
La singolarità del ritrovamento delle Mater Matutae presenta due aspetti ben distinti ed essenzialmente lontani l’uno dall’altro
Certamente di carattere morale il primo che fa risalire il ritrovamento dei reperti al 1845, quando un un fondo ai margini della città di Capua, appartenente ad un certo Luigi Pellegrini, si ha notizia di un rinvenimento di natura archeologica al quale non fu data importanza, tanto che il materiale estratto, giudicato di fattura grossolana e non troppo lavorato, fu riposizionato in sede, senza darne nell’immediatezza notizia alcuna alle competenti autorità.
Fatto grave aver esposto i ritrovamenti delle Matres Matutae a molteplici pericoli, da non relegare all’ignoranza lecita di un ignaro proprietario terriero e neanche poi tanto mi sentirei di aggiungere.
Sta di fatto che un successivo indicò in Carlo Pitturelli, la persona che gestì tale questione e questo nome già da allora indicava una competenza in materia poichè nella sua famiglia molti erano gli esponenti legati a vario titolo alla Reggia di Caserta e che quindi non poteva non essere a conoscenza che certi ritrovamenti andrebbero quantomeno ponderati nelle sedi opportune.
Così non fu e si dovette attendere il 1873, quando si dice fu lo stesso Pitturelli ad indicare un podere di famiglia nel quale poteva essere celato qualcosa di interessante: le Matres Matutae.
Nella ricerca delle fonti, tale ammissione, seppur tardiva, viene riportata senza particolari accenti e pur a distanza di anni io vorrei però aggiungerne qualcuno, deprecando un simile atteggiamento verso i reperti delle Matres Matutae, senza null’altro aggiungere.