Quando un attore riesce a creare con il suo corpo, la sua voce e in completa sintonia con gli altri elementi scenici, una storia coinvolgente e un mondo poetico, il teatro diventa un’opera d’arte completa, un movimento vorticoso che chiama gli spettatori ad investire le proprie energie per quel momento che potrebbe in qualche modo cambiare la vita o semplicemente costituire un nuovo stimolo alla conoscenza, un arricchimento in più.
Matthias Martelli è partito dalla videocassetta di Mistero buffo, (che anch’io ho consumato), scoprendo così il Mistero, la magia e la vocazione per il teatro, si è formato presso l’Atelier Teatro fisico Philip Radice, dove ha fabbricato la sua “valigia” nella quale ha inserito perle teatrali significative: dai princìpi di Lecoq, a Eugenio Allegri fino ad arrivare a Dario Fo, perle misteriose e segrete che hanno attraversato i piccoli teatri, fino a raggiungere il Teatro Stabile di Torino.
Una carriera in ascesa quella del giovane Matthias, in grado di comporre uno straordinario mosaico che simboleggia il teatro in perenne pericolo, ma ogni volta in grado di rinascere come un’araba fenice.
La nostra redazione ha dunque intervistato questo giovane artista, con grande orgoglio ed emozione, poiché siamo cacciatori e protettori di ogni piccola scintilla che diffonda bellezza.
Matthias Martelli, l’arte del giullare e le sue esperienze significative
Come nasci artisticamente e quanto “L’essere giullare” e l’arte di raccontare ti appartengono?
Io sono nato ad Urbino, ma mi sono formato a Torino presso ‘Atelier Teatro Fisico Philip Radice e P.A.U.T. Performing Arts University di Torino, dove praticavo teatro fisico ispirato all’insegnamento di Jacques Lecoq, che ne fu il fondatore e ispirò anche Dario Fo.
Il mio essere giullare è dunque legato al teatro fisico, all’uso del corpo, della mimica e della gestualità per raccontare vicende popolari in maniera coinvolgente al fine di suscitare l’interesse e la curiosità del pubblico che deve essere stimolato in maniera intelligente e profonda.
Il tuo incontro con Mistero Buffo e con Dario Fo
Ho visto per la prima volta Mistero buffo a casa con i miei genitori in videocassetta, avevo più o meno tra gli 8 e i 10 anni. Dario Fo mi ha illuminato, perché giocava, come se fosse un bambino che riusciva non solo a meravigliare, ma a divertire in maniera incredibile con un cambio di voce e con la mimica facciale, da solo, senza niente sulla scena, riusciva a far immaginare tutto.
Ho capito che quello è il teatro, un attore o tanti attori che attraverso l’ironia, la satira, il comico, il racconto, ma anche la poesia riescono a far esplodere l’immaginazione del pubblico. Dopo la scuola di Philip Radice, ho deciso di fare il mio primo spettacolo, Il mercante di monologhi con il quale ho fatto un centinaio di repliche un po’ ovunque.
Subito dopo ho pensato di realizzare Mistero buffo chiedendo aiuto ad un grande regista ed attore scomparso un po’ di tempo fa, Eugenio Allegri. Con grande generosità mi ha detto di sì, poiché è un grande esperto di Commedia dell’arte. Abbiamo cominciato a lavorare in maniera assidua su Mistero buffo, prima ancora di avere una produzione e il permesso. Dario Fo ci ha poi chiesto un video, noi gliel’abbiamo mandato e subito dopo è arrivata la risposta, in seguito alla quale abbiamo stappato una bottiglia di Prosecco per festeggiare. Da lì siamo partiti e siamo stati insieme a Londra, a Bruxelles e a Roma lo scorso anno. Questo mi rende molto contento è una sorta di “eredità”
Il tuo incontro con Fred Buscaglione, come nasce il tuo testo e l’idea di questo spettacolo?
L’idea è nata poiché ho riflettuto sul fatto di essere nato 36 anni dopo la morte di Buscaglione, ma nonostante questo le sue canzoni sono entrate nella vita di tutti noi, come degli “inni nazionali”. Giravano nella mia testa fino a quando Buscaglione nella mia vita ha preso una forma concreta a Torino, poiché ho scoperto che dietro la casa della mia compagna viveva Fred Buscaglione con Leo Chiosso. Spesso scrivevano le canzoni affacciati ai balconi, secondo le testimonianze non è leggenda, ma la verità. Io sono di Urbino, ma Torino è la città a cui artisticamente devo di più. E’ una città magica che sembra quieta, ma dentro di sé ha dei fermenti di follia incredibili.
Buscaglione e Chiosso, il suo paroliere, ce l’avevano nel sangue Torino e quando ho cominciato a documentarmi su Buscaglione ho scoperto una figura più complessa, diversa dallo stereotipo del gangster, bullo, bensì un uomo molto diverso e rivoluzionario nel suo campo. Una vita travolgente e malinconica allo stesso tempo che attraversa alcuni decenni irripetibili della storia italiana: la guerra, il dopoguerra, il boom economico. E’ un simbolo per il suo coraggio e ironia dirompente.
Anche Arturo Brachetti si è formato a Torino. In che modo la tua scrittura scenica e l’arte registica di Arturo Brachetti si incontrano?
Io facevo spettacolo all’Atelier teatro fisico che una volta al mese ha il Performing Party dove gli allievi si possono esibire e poi successivamente facevo spettacoli in vari teatri da 40-50 posti, alcuni nelle cantine, altri in ex negozietti, trasformati in luoghi di spettacolo. Arturo che è una persona geniale e molto umile veniva spesso a vedere questi spettacoli, questi piccoli varietà di attori alle prime armi, che facevano monologhi e teatro acrobatico. Quando lui arrivava eravamo tutti molto emozionati perché un personaggio così straordinario della scena internazionale che viene a vedere questi varietà, rappresenta qualcosa di mitico.
Dopodiché Arturo mi ha visto anche in situazioni più ufficiali in Mistero buffo al Teatro stabile di Torino, così quando mi hanno prospettato l’idea di una grande produzione su Fred Buscaglione, una delle persone che ho provato a coinvolgere, visto la grande stima che ho di lui è stato proprio Arturo, ma anche lui era ben disposto. Gli ho inviato il copione e lui è riuscito a lavorare in maniera veramente funzionale a questo tipo di teatro. La sua regia valorizza i cambi di scena, le trasformazioni di luoghi, spazi, personaggi, gli effetti di luce, la parte visuale riesce a crea un mix insieme alla musica che mi rende molto soddisfatto.
Come è nato l’incontro con Roy Paci?
A me piace tantissimo lavorare con la musica pur non essendo un musicista, poiché il teatro è ritmo, la musica è note, tonalità, intenzioni ed è un mix che mi piace moltissimo. Quando si parlava di Buscaglione l’idea di Roy Paci è stata fulminea.
Roy è un artista eccezionale, molti pezzi jazz suonati nello spettacolo sono i suoi, ed è un interprete ideale di Fred Buscaglione, per la voce, le movenze, il suo modo di essere sulla scena, l’ironia. Anche i ragazzi sono straordinari, sono tra i jazzisti migliori d’Italia, lavorare con loro è un vero piacere, fondere la mia voce con i loro strumenti mi crea momenti di grande estasi e poi con Roy c’è un’intesa stupenda sia professionale, che umana.
Progetti futuri?
Mi piacerebbe ancora lavorare con Arturo, ma ancora non abbiamo pensato a niente. Ho tantissime idee, alcune si stanno concretizzando, ma finché non diventano qualcosa di certo meglio non parlarne. E’ un periodo florido dal punto di vista creativo e delle collaborazioni e una grande risposta me la dà il pubblico. Quando lasci qualcosa, può cambiare qualcosa, il pubblico ha bisogno di bellezza e di stimoli per la sua curiosità, di riscoprire certi personaggi di lavorare per rompere gli stereotipi, spingere il pubblico ad approfondire e non rimanere alla superficie.
La nostra redazione ringrazia Matthias Martelli per la sua disponibilità. Segui l’attore sui suoi canali social:
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